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partenze marzo

Ho partecipato quest’anno all’"Armenian Heritage Cruise", la "crociera dell’eredità armena". Alcuni armeno-americani hanno avuto l’idea, diversi anni fa, di riunire un bel gruppo di compatrioti per una settimana a bordo di una nave da crociera, offrendo agli ospiti il piacere di ritrovarsi fra discendenti di sopravvissuti, emigrati da tutti i luoghi dell’antica patria, e di conversare nella lingua materna; e inoltre conferenze, aggiornamenti, presentazioni di libri, gare di tric-trac e gruppi di danzatori. Sono stati giorni intensi e interessanti. Storie aleggiavano intorno a un caffè, parenti si ritrovavano, bambini facevano amicizia; e una nonna assai vispa mi ha regalato una sciarpa di lana fatta con le sue mani, con la bandiera tricolore d’Armenia rosso-blu-arancio.
 
Ogni armeno ha la sua storia, e ognuna è differente nei dettagli e nei luoghi, ma simile nell’orrore e nella desolazione: le case abbandonate, gli uomini uccisi, la marcia nel deserto, la solitudine; e poi la capricciosa mano del fato che permette a un essere umano di sopravvivere, ma con il peso di un destino incompiuto. Per ognuno c’è un punto preciso di maggior nostalgia e dolore, una partenza o un distacco che lo tocca più a fondo, e che non potrà mai dimenticare. Dolenti erano tutte queste storie. Ma quella del signor Zohrab, che vive a Fort Wayne, Indiana, mi è parsa particolarmente toccante ed evocativa. Un paio d’anni fa, Zohrab ha intrapreso, come tanti altri, il viaggio della memoria. Si è recato in Turchia orientale, la culla degli armeni. Con lui c’era una signora anziana, fragile, con un unico scopo in mente, quello di adempiere all’ultimo desiderio del padre: trovare il suo villaggio, prendere un po’ di terra consacrata dall’interno della chiesa e portarla sulla sua tomba. Ma quando furono in quella zona, la guida curda disse che non c’erano strade sicure, per quel villaggio montano.
 
La signora volle andare lo stesso, e Zohrab l’accompagnò. A un certo punto dovettero abbandonare la macchina: davanti a loro c’erano un fiume da attraversare e una ripida salita. Sulla cima s’intravedevano povere case. Allora Zohrab promise alla signora di eseguire il suo compito. La lasciarono pregare seduta su un masso e si avviarono. Neanche Zohrab è un giovanotto, ma arrivò in cima. Solo che l’antica chiesa era diventata una stalla. E non potendo portare alla vecchia signora il concime che ricopriva il pavimento, decise di raccogliere un po’ di terra fuori e di non raccontarle l’oltraggio al luogo sacro e la desolazione di quello che aveva visto. «Quella chiesa, che brilla ancora nelle sue pietre bicolori – concluse Zohrab – è una memoria e un ostaggio. Ma la terra d’Armenia è tutta sacra».
 
di Antonia Arslan