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Vacanze anseatiche

Ero imbevuta di immagini ottocentesche della città sulle rive dell’Elba. I grandi mercanti della Lega Anseatica e le loro città, la loro vita operosa e il quieto benessere, i grandi porti di Amburgo e Lubecca, e la severa Brema, da cui proveniva zia Anja, terrore dei nostri giochi infantili, la lettura dei Buddenbrook, il romanzo di Thomas Mann che mi aveva tanto appassionato nell’estate dei miei diciott’anni, tutto concorreva a farmi desiderare quel viaggio ad Amburgo che feci con un’amica romana.

Frequentavamo un corso estivo di tedesco a Göttingen, città piccola e graziosa, quasi non toccata dalla guerra, con un’università molto vivace. Così decidemmo di prenderci una vacanza e di andarcene ad Amburgo. Avevamo pochi soldi, e decidemmo per lo Jugendherberge, l’ostello per la gioventù, che ci pareva molto più moderno e trasgressivo di un albergo qualsiasi. Spartano ma pulito, letti a castello con su appesi camiciole, calzetti e biancheria varia, maschi da una parte e femmine dall’altra, ci andava benissimo.

L’ostello non forniva che il letto e un pacco di sottili lenzuola. Ognuno aveva con sé pane, formaggio (o salumi!) e bibite, ma c’era la proibizione assoluta di mangiare in camera, e così ciascuno si faceva un angolino personale sui vasti tavoloni della sala grande. Un grosso frigorifero doveva bastare per tutti: e ce lo facevamo bastare, con sana allegria.
Visitammo tutto, in quei pochi beati giorni d’agosto, tutto quello che era rimasto della grande città dopo i feroci bombardamenti del 1943. Le macerie erano state portate via, ma ancora rimanevano i buchi fra le case, squallidi come denti mancanti, e sulle panchine collocate al centro di questi spazi vuoti sostavano vecchi smemorati. E tuttavia i due laghi dell’Alster avevano ritrovato la loro romantica bellezza, e al Giardino Botanico vedemmo ragazzini e ragazzine danzare sul ghiaccio con tale limpida grazia che ci innamorammo dei loro biondi sorrisi.

Camminavamo tutto il giorno, con il sostegno di qualche salsicciotto comprato caldo sulle bancarelle, finché un giorno finimmo in una strada curiosa, la Reeperbahn, piena di marinai e di donne dal sorriso invitante. Là c’era vita dappertutto, luci al neon e locali notturni, ma anche il senso di un’opaca disperazione, come se quello fosse stato l’ultimo rifugio dell’anima della città, e stesse piano piano svanendo nel buio.

di Antonia Arslan