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Tadao Ando e la croce, semplicemente

​Nel vasto repertorio delle opere realizzate nella seconda metà del XX secolo da Tadao Ando – probabilmente il più famoso architetto giapponese contemporaneo – la “chiesa della Luce” costruita a Ibaraki, presso Osaka, può vantare il primato di essere il suo edificio più piccolo per dimensioni (la pianta copre un centinaio di metri quadrati) ma anche uno fra i più significativi per la forza espressiva che lo caratterizza.
La chiesa sorge ai margini di un agglomerato di case residenziali sparse in un contesto privo di particolari valori paesaggistici e occupa una parcella di terreno che converge su un incrocio di strade. Appare come un semplice parallelepipedo di cemento armato posto leggermente di sbieco rispetto ai confini del lotto.
Il volume interno (una semplice aula) è parzialmente attraversato in un angolo da una lama muraria che ritaglia un vestibolo d’ingresso e disegna un percorso pedonale esterno.
Questo incrocio planimetrico fra le mura crea nell’aula un deciso contrasto spaziale con una chiara gerarchia fra la testata di ingresso – più plastica e fortemente ombrata – e quella absidale sul fronte sud, nella quale l’architetto realizza un’incisione che disegna una croce di luce (da parete a parete e dal pavimento al soffitto). L’insieme della fonte di luce diviene apertura verso l’esterno assumendo, nel contempo, un forte valore simbolico.
Ando corregge abilmente l’effetto “controluce” della parete absidale portando le estremità della croce fino all’incontro delle pareti perimetrali. In questo modo si generano raggi luminosi che corrono longitudinalmente ai lati della navata, dove si riflette la luce tangente.
Il trattamento accurato delle superfici interne in calcestruzzo delinea leggeri rilievi che si configurano come variazioni capaci di impreziosire la superficie; così è l’intera navata che vibra al variare dell’incidenza della luce.
La soluzione inventata dall’architetto appare semplice e geniale. L’essenzialità spartana e razionale di questo spazio, la tensione fra le geometrie interne e la misura a scala umana dell’aula permettono ai fruitori di vivere un ruolo da protagonisti in un luogo in cui possono ritrovare sentimenti ed emozioni conosciuti nelle tipologie del grande passato (penso, ad esempio, alla forza iconica delle chiese romaniche).
L’astratta razionalità di questo linguaggio trova nuovo equilibrio e ricchezza negli aspetti metaforici, che confermano le possibilità espressive del “nuovo” all’interno delle contraddizioni del presente. La memoria del passato diviene strumento attivo; la luce che si identifica nella croce non è una semplice invenzione architettonica, bensì il segno di una sacralità dello spazio. In questo caso, la funzione diviene prepotentemente valenza simbolica.
La semplicità, la verità, la bellezza e la sapienza architettonica del costruire di Tadao Ando modellano l’incanto di quest’aula. Semplice e accogliente, la casa del Signore ripropone la casa dell’uomo, che ritrova le condizioni del vivere in sincronia con il mutare del ciclo solare.
Uno spazio del sacro modellato con la sensibilità che parla del nostro tempo: un luogo di silenzio, di meditazione e di preghiera dove sono date le condizioni per ritrovare significati smarriti o dimenticati nel tempo e che interrogano nuovamente lo spirito profondo della nostra coscienza.

di Mario Botta