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San Martino di Tours, il soldato divenuto pastore

​“Carità” e “pace” sono due realtà presenti nel cuore di ogni cristiano e di ogni uomo di buona volontà come ardente anelito e paziente impegno per rischiarare di luce nuova l’oscuro orizzonte della storia. In tale contesto la figura di san Martino di Tours offre un forte messaggio e un chiaro modello.
Nato intorno al 315 in Pannonia da genitori pagani, Martino viene educato in Italia, a Pavia; ancora ragazzo, affascinato dalla fede cristiana, vorrebbe ricevere il battesimo, ma trova la netta opposizione  del padre, tribuno militare. Non solo, a quindici anni, quale figlio di un veterano, è costretto a un servizio militare che dovrebbe durare almeno ventiquattro anni.
Pur contrariato nella sua vocazione, Martino visse l’ideale evangelico della povertà. Emblematico il noto episodio  della divisione del mantello con un povero nel quale si è identificato il Cristo: «Martino non ancora catecumeno mi ha coperto con il suo mantello» (Vita 9,3).
La sua carriera militare si interruppe in modo repentino quando, davanti all’imperatore Costantino II, Martino dichiarò con fermezza: «Sono soldato di Cristo: non mi è permesso di combattere» (Vita 4,3). Lasciato l’esercito, abbracciò il genere di vita degli asceti dell’Oriente, ritirandosi dapprima in un eremitaggio a Milano, poi nell’isola Gallinara, sulla costa ligure, quindi in Gallia, dove fondò il monastero di Ligugé ancor oggi fiorente.
La sua spiritualità monastica si sintetizza in tre parole: umiltà, povertà e preghiera incessante. «Mai passò un attimo – scrive di lui il suo biografo Sulpicio Severo – in cui non s’impegnasse nella preghiera o non s’applicasse alla lettura delle Sacre Scritture. Anche quando sembrava fare qualcos’altro, senza posa pregava».
Chiamato – quasi per acclamazione popolare – a reggere come vescovo la Chiesa di Tours, attuò una pastorale molto semplice che lo rendeva vicino alla gente e caro ai piccoli e ai poveri: sempre in cammino, visitava le parrocchie, riconciliava gli animi, diffondeva gioia. Era sempre disponibile e affabile, ma inflessibile e senza ambiguità con i potenti di questo mondo. La sua azione si estese molto al di là della sua diocesi: ora era a Treviri, ora a Parigi, ora a Chartres, e in altri luoghi ancora, sempre intento a difendere la retta fede, minacciata dall’imperversare di una diffusa mentalità pagana e dalle subdole manovre del demonio, il divisore, che fino all’ultimo lo insidiò, nulla tuttavia potendo contro di lui, sempre vigilante.
Sentendo avvicinarsi la morte, Martino ancora fece visita a una comunità,  desiderando di ristabilire la pace, là dove c’erano dissidi. Sulla via del ritorno le forze lo abbandonarono. I fedeli che lo circondavano tra le lacrime lo supplicavano: «Perché, o Padre, ci abbandoni? A chi ci lasci?».
Commosso, Martino così pregò: «Signore, se sono ancora necessario al tuo popolo, non ricuso la fatica: sia fatta la tua volontà».
 Sempre rivolto con gli occhi e con le mani al cielo, era ormai tutto preghiera. Ancora il diavolo gli si fece vicino per sferrargli l’ultimo attacco, ma egli lo apostrofò: «Che fai qui, bestia sanguinaria? Non troverai nulla in me, sciagurato! Il seno di Abramo mi accoglie». Così rese lo spirito. E il suo biografo commenta:
«Martino povero e umile entra ricco in Paradiso».

di Antonio Paolucci