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Rudolf Schwarz, una nuova idea del sacro


Nei progetti e nelle ricerche elaborati dalla cultura architettonica nei decenni a cavallo fra le due guerre del Novecento, il tema dell’architettura ecclesiale ha vissuto un serrato confronto ideologico fra la realtà consolidata da una storia millenaria e gli esordi della cultura moderna, con le avanguardie e gli architetti attenti e sensibili proiettati verso i nuovi cambiamenti tecnici e sociali che si andavano profilando. Progettisti, artisti, filosofi, letterati e liturgisti declinano nuovi interrogativi rispetto alla nozione di sacro nei confronti della contemporaneità. In questo quadro storico-culturale, la presenza in Germania di Rudolf Schwarz e il sodalizio con l’amico teologo Romano Guardini divengono centrali per l’interpretazione di un linguaggio razionale e moderno che si contrappone ai modelli ormai obsoleti delle tipologie ecclesiali del passato.
La fortuna critica e professionale, che lo ha accompagnato in una parabola di oltre quarant’anni, ha prodotto architetture che per numero e qualità risultano infinitamente più significative rispetto ad altre coeve. Schwarz è divenuto così una figura di riferimento per pensieri e interpretazioni sull’architettura del sacro. Intellettuale colto e raffinato, amava definirsi semplicemente un “costruttore” ma in realtà credeva nella forza delle immagini: «Per troppo tempo ci siamo sforzati di impadronirci del mondo attraverso concetti e così ci siamo dimenticati del fatto che le immagini sono più forti, più reali e più precise».
All’interno della sua vasta produzione, particolarmente significativa è la chiesa di Sant’Anna a Düren, nella Renania Settentrionale. Nata da un concorso dopo che la chiesa medievale originaria era stata distrutta nel 1944, gode di una forza iconica disarmante. La straordinaria modernità dell’impianto planimetrico, privo di qualsiasi riferimento alle preesistenze, si caratterizza per un linguaggio espressivo nuovo e perentorio. La chiesa si configura di fatto come un intero isolato urbano, definito da mura perimetrali che costruiscono i nuovi spazi urbani dell’intorno e s’innalzano senza aperture, indipendenti dalle funzioni interne. Le mura sono costruite utilizzando le stesse pietre di arenaria rossa della vecchia chiesa, a testimonianza di una memoria che non poteva andare perduta. Ciò lega profondamente e in modo innovativo la chiesa al passato: il nuovo porta dentro di sé l’antico.
L’invenzione planimetrica di questa nuova tipologia propone, parallelamente all’unica navata della chiesa, un’“aula dei pellegrini” che funge da ingresso e spazio di distribuzione tra la navata e la cappella feriale, di forma trapezoidale. La prima è molto più alta della seconda. Al piano terra le separano cinque pilastri; nella parte superiore, sopra la copertura della cappella, orientata a sud, si alza una parete di vetro cemento che permette di illuminare generosamente gli spazi interni.
Nel progetto l’idea della chiesa come volume urbano autonomo viene meno per far posto a un insieme che ricerca nuove relazioni spaziali all’esterno e configura differenti funzioni all’interno. La chiarezza e la modernità planimetrica del progetto si coniugano a un linguaggio semplice e sorprendente: un’immagine potente che grazie alle murature silenziose veicola la memoria di un grande passato.

di Mario Botta