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Restano solo le vie del Signore

di Giovanni Lindo Ferretti

Se mi sveglia l’angoscia, una pressione materica alla bocca dello stomaco che blocca il respiro, mentre sbarro gli occhi sono già con i piedi per terra. In qualche cantuccio della coscienza genetica sta un sensore che allertato mi impone di recuperare la dimensione verticale. Obbedisco per riflesso, la dimensione orizzontale oltre a essere oggettivamente pericolosa inibisce la mente e depotenzia i riflessi. Basta un attimo per riprendermi. La stanza, gli oggetti, la casa, le finestre aperte sul paese e le montagne intorno mi allargano il sorriso. Non sono solo, non sono qui per caso, molto mi ha preceduto, qualcosa mi seguirà. Non posso che rendere grazie per il dono del vivere, accettarne limiti e opportunità, bendisposto a un nuovo giorno. Ci sarà comunque da fare. A ogni giorno la sua pena, a ogni giorno la sua grazia.
L’età e le vicissitudini hanno modificato il mio carattere, aumenta la necessità di solitudine, cresce il bisogno di silenzio, mi ritrovo più attento alle ragioni dell’eterno e più compassionevole verso l’umano genere di cui sono parte. Tutt’altro che maldisposto verso il prossimo ho persino ritrovato interesse nella politica, consegnandola all’ambito che le compete. Devo dire per onestà che in questo non sono consolatorio.
Mentre la tecnologia ridisegna il panorama sociale e modifica con prepotenza l’esistenza di grandi masse umane, il disagio dei singoli scava tunnel sempre nuovi in cui le difficoltà, il dolore, affondano senza trovare argine. Soluzioni non si intravedono. Lo sguardo si fa sfuocato nelle prospettive e costretto a ripiegare su se stesso non può che fomentare e accrescere il senso di impotenza profonda che si scontra con il delirio di onnipotenza in cui opera la contemporaneità e si è imposto il regno della comunicazione. Restano le vie del Signore, attaccabili ma intoccabili, multiformi e immutabili. Cumuli di rifiuti agli imbocchi, segnaletiche erose nel tempo, false diramazioni e scorciatoie come trappole. Sacerdoti e monasteri a indicarci la via, la verità, la vita, operano per irradiazione. Si può essere bendisposti o maldisposti non si può non riconoscerne l’autorità che deriva dal ministero che incarnano vivendo in mezzo a noi. Attorno a loro, con loro, il procedere nel cammino.
Maurizio mi è padre anche se per età potrebbe essermi figlio. Benedikt mi è padre e potrebbe essermi fratello. Maurizio è prete cattolico, Benedikt monaco ortodosso. Sono uomini di Dio, consacrati al Cristo, sono entrati nella mia vita e da subito hanno fatto la differenza. Lontani ne percepisco la presenza, vicini modificano la mia quotidianità arricchendola, per sola contiguità. Aprono spazi in cui l’infinito si accomoda e l’angusto si ritrae, relegato. Si può vivere, si deve vivere, accettando la realtà senza esserne succubi.
C’è un gesto sacerdotale che affiora da una religiosità naturale, primitiva, officiata in dimensione familiare. Ne resta traccia potente nella letteratura epica: – Padre, beneditemi –. È una richiesta che vuole/deve essere esaudita, indispensabile al procedere.
L’imposizione delle mani sulla testa chinata, le stesse poche parole eterne, il segno della croce. Amen. Buona giornata. Buon viaggio.