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Nicodemo e la cultura davanti alla fede

di Maria Gloria Riva​

Crijn Hendricksz Volmarijn, pittore olandese del XVII secolo, seguace di Caravaggio, traccia il ritratto di uno dei primi testimoni favorevoli a Gesù nel Vangelo di Giovanni: Nicodemo. Esistono due opere dello stesso soggetto, e questa tela, benché sia la più interessante, non è da tutti attribuita all’artista.
Non siamo all’aperto, come sembra suggerire la notte ventosa narrata dall’evangelista, ma all’interno di uno studio avvolto nell’oscurità: «Vi era tra i farisei un uomo di nome Nicodemo, uno dei capi dei Giudei. Costui andò da Gesù, di notte, e gli disse: “Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui”». Se il buio della notte, come è tipico di Giovanni, indica il dubbio dell’autorevole membro del Sinedrio, il capo inclinato con cui lo ritrae Volmarijn dice come egli abbia già intuito qualcosa di quel Nazareno. Benché lo si chiami Gesù e non Cristo, termine post-pasquale, è evidente che Nicodemo riconosce l’autorità della sua Parola e si mette alla sua scuola. Lo fa di notte, però, per timore degli altri membri del Sinedrio che non avevano simpatia per Gesù.
«Sappiamo che sei un maestro venuto da Dio». Dentro a quel solenne “sappiamo” c’è la sincera ricerca di questo “maestro di Israele”, nutrito dalla certezza che le Scritture non mentono e che, se Gesù è il Cristo, la sua testimonianza concorderà con quella della Parola. Testimoniano tutto ciò gli occhiali che regge nella mano sinistra. Il nietbrille è inequivocabile segno di erudizione: il primo ad essere ritratto con questi occhiali fu, infatti, il monaco domenicano cardinal Ugo di Saint-Cher, commentatore biblico di grande cultura, ritratto in un affresco da Tomaso di Modena nel 1352. L’attributo concorda con l’opinione di alcuni studiosi che riconoscono in Nicodemo l’uomo facoltoso e sapiente, Nicodemo Ben Gurion, di cui parla il Talmud Babilonese. La scena, nei suoi simboli, narra un incontro alla pari: due candele in primo piano dicono il confronto fra due luminari, e le due bocche semi aperte suggeriscono un dialogo alla pari, a cuore aperto. Eppure il dottore della Legge si china di fronte al suo giovane interlocutore. Lo sguardo di Gesù è pieno di dolcezza per l’illustre discepolo che, alla sua veneranda età, è capace di mettersi umilmente in discussione. Gesù gli ha appena annunciato la sua morte: quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me. E Nicodemo, sopraffatto dalla prospettiva di quel sacrificio, è colpito al cuore. Il suo libro resta aperto, come bisognoso di interrogazione, mentre Cristo, con il libro chiuso della rivelazione ormai compiuta, computa sulle dita un calcolo: quale? Forse il comandamento nuovo? Oppure il rivelarsi della Trinità grazie alla croce, come vuole il Vangelo? Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Non ci è dato di sapere. Certo è che anche noi come Nicodemo siamo stupiti. Come può una morte così infame attirare a Dio l’umanità? E come può il mistero della morte rivelare la vita divina?
Nicodemo si toglie gli occhiali. Non è più una erudizione umana quella che serve: la fede genera cultura, ma non dipende dalla cultura. La fede offre una luce capace di dare senso a ciò che la ragione non può capire. Così il dottore della Legge, divenuto il primo scultore di crocifissi, indica a noi che la croce, stoltezza per chi non crede, è, per i credenti, sapienza e potenza di Dio.