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Messiaen, note verso la fine dei tempi

​«Il dramma della mia vita è che ho scritto musica religiosa per un pubblico che non ha la fede». L’amara considerazione non ha impedito a Olivier Messiaen (1908-1992) di rappresentare un caso unico. L’elemento sacro è sempre stato una delle componenti essenziali della sua musica – che a esso si è ispirata o lo ha suggerito, lo ha rivestito e se ne è fatta rivestire – e il compositore francese ha scritto musica fondata strutturalmente, dal punto di visto compositivo, sui principi dottrinali della religione cattolica, portandola nel contesto laico delle sale da concerto. Messiaen non ha infatti affidato alla sua produzione “ufficiale” lavori espressamente liturgici (tranne il solo mottetto eucaristico O sacrum convivium), ma ha invece portato negli auditorium di tutto il mondo brani come L’Ascension e La Transfiguration de Notre Seigneur Jésus-Christ per orchestra, i pianistici Vingt Regards sur l’Enfant-Jésus e Visions de l’Amen o per il prediletto organo La Nativité du Seigneur e Livre du Saint Sacrement.

In nessun caso si tratta di quadri di genere, di pagine impressionistiche che giocano sugli elementi più caratteristici del soggetto o del contesto sacro; Messiaen alza l’asticella, realizzando un’opera teologica scritta non nel linguaggio della parola ma in quello delle note, e quindi universalmente comprensibile. Piega gli strumenti tecnici della tradizione occidentale, rimodellandoli o forgiandone di nuovi, con un’impronta originale che lo pone tra i più importanti innovatori della storia della musica.

Il grande tema che attraversa tutta la sua attività creativa è quello del tempo e, di riflesso, dell’eternità; la musica, arte del tempo per eccellenza, per lui diviene il mezzo attraverso cui rendere percepibile la dimensione atemporale dell’eterno. Ed è questo il sigillo con cui firma il suo Quatuor pour la fin du Temps, una delle testimonianze musicali più drammatiche e significative del secolo scorso, che il compositore ha scritto tra il 1940 e il 1941 in un campo d’internamento e che acquista significato alla luce delle sue stesse parole: «La sola realtà è di un altro ordine: si colloca nell’ambito della fede. È attraverso l’incontro con un Altro che noi possiamo comprenderla. Bisogna tuttavia passare attraverso la morte e la resurrezione, il che suppone un salto fuori del tempo. La musica può prepararci a tutto ciò come immagine, come riflesso, come simbolo» perché, «come dice san Tommaso, la musica ci porta a Dio “per un difetto di verità”, fino al giorno in cui lui stesso ci abbaglierà “per eccesso di verità”».

di Andrea Milanesi

(ha collaborato Alessandro Beltrami)