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L’onore della sofferenza per il nome di Gesù

​Mentre a Gerusalemme veniva lapidato il diacono Stefano, Saulo, ancora giovane, assisteva al martirio custodendo i vestiti di quelli che lanciavano le pietre (cfr. At 7,58; 22,20). Allora egli si convinse che bisognava eliminare i seguaci di Cristo; perciò diventò un accanito persecutore dei cristiani. Ma Gesù lo fermò sulla via di Damasco rivelandosi a lui: «Io sono Gesù che tu perseguiti» (At 9,5). Da quel momento il corso della vita di Saulo cambiò completamente. Colui che portava un nome regale diventò Paolo, “piccolo”, umile: «Io sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio» (1Cor 15,9).

Paolo si definiva un niente per se stesso, un vaso di creta, ma nella mano di Dio riconosceva d’essere uno strumento efficace per l’evangelizzazione. In lui Dio manifestò tutta la potenza della sua grazia, le meraviglie del suo amore. Paolo era stato talmente colpito dall’incontro folgorante con il Risorto da farne il fondamento della sua predicazione, la prova inconfutabile della veridicità del suo Vangelo: «Quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti, subito mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco» (Gal 1,15-17). Cominciava così la sua corsa, meglio, la corsa della Parola attraverso di lui. Paolo non predicava se stesso, ma Cristo crocifisso e risorto: «Ritenni – scriveva ai Corinzi – di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. Mi presentai a voi nella debolezza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio» (1Cor 1-5).

Anche mentre si trovava in carcere, infondeva coraggio ai cristiani delle comunità che aveva fondato inviando loro lettere e messaggi. A Timoteo scriveva con santa fierezza: «È questa la causa dei mali che soffro, ma non me ne vergogno: so infatti in chi ho posto la mia fede» (2Tm 1,12). Non lo spaventava la morte, poiché poteva affermare: «Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno» (Fil 1,21). E ancora: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?» (Rm 8,35). La fede di Paolo si esprime tutta in quel grido che esplode dalla sua anima davanti al Crocifisso: «Mi ha amato e ha consegnato se stesso per me!» (Gal 2,20). Per ricambiare un così grande amore va incontro al martirio mostrando ai cristiani di ogni tempo che è un grande onore soffrire per il nome di Gesù.

di Anna Maria Cànopi