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Luce e terra

​Nel parco verde che circonda il convento dei Carmelitani di Auco, nella Valle de Los Andes, in Cile, l’architetto Cristián Undurraga costruisce nel 2009 una “capilla del Retiro”. Fuoriterra l’edificio si configura unicamente con quattro travi-pareti in calcestruzzo, incrociate agli angoli e sollevate dal suolo.
Lo spazio liturgico della cappella, a pianta quadrata, si trova a livello ipogeo, circoscritto da un perimetro esterno irregolare che presenta una solida muratura rivestita di sassi. All’interno, la luce che penetra dal basso costruisce uno spazio unitario e indiviso che permette di stabilire un confronto diretto fra il celebrante e l’assemblea dei fedeli.
Cristián Undurraga semplifica gli elementi della composizione architettonica, che si configura come una grande scultura priva di segni tecnici o di infrastrutture che indichino uno spazio abitabile. Le varie parti – solaio, pareti, tetto, prese di luce, materiali... – si presentano come componenti singole ma ancora in grado di rispondere, attraverso la propria immagine, alle differenti funzioni che connotano la complessità di un edificio sacro.
La cappella di Cristián Undurraga è un’opera di architettura colta, raffinata e, attraverso le semplificazioni delle differenti componenti, raggiunge una sintesi formale che si esplicita in un rigore costruttivo di grande suggestione. La differenziazione fra le parti richiama la poetica dell’architettura neoplastica dell’inizio del secolo scorso (Gerrit Rietveld e la scuola olandese) ma, in questo caso, la valorizzazione dei materiali di costruzione – i sassi del piano interrato, il cemento esterno delle travi-pareti e il legno del rivestimento interno – esprime solidità e valore tettonico. In un momento storico nel quale prevalgono assemblaggi, collage e pastiche, è raro ritrovare spazi costruiti con una tale chiarezza strutturale, nei quali i differenti elementi dell’insieme “parlano” per esprimere il senso del proprio esistere, la dignità e la bellezza nel concorrere a divenire parti di uno strumento capace di predisporre il credente e il visitatore al silenzio, alla riflessione e alla preghiera.
Nel rapporto con il paesaggio dell’intorno vengono ridotti all’essenziale gli elementi architettonici di mediazione (materiali lapidei, scale, viali e percorsi) e quando esistono, come nel caso della rampa di discesa nell’interrato, assumono la forza di un’incisione, di una ferita, voluta e disegnata rispetto al piano di calpestio della campagna. È un modo per distinguere e separare i manufatti geometrici e ordinati rispetto all’andamento ondulato e organico del territorio circostante; un modo per chiarire un confronto che diviene dialogo fra l’artefatto dell’uomo e la natura. È da questa chiarezza di fruizione che il visitatore ritrova conforto grazie all’arricchimento reciproco ancora possibile fra natura e cultura, dove ognuna delle due realtà irradia forza e bellezza specifiche della loro identità.
Nel confronto col vicino convento, la nuova cappella si presenta come un manufatto misterioso, affascinante perché impossibilitato a svelare la propria funzione. Il visitatore deve scoprirla attraverso il percorso segmentato che lo conduce nella parte ipogea dove potrà intravedere, oltre al perimetro quadrato di vetro, lo scrigno in legno di uno spazio che s’inonda unicamente di una luce naturale riflessa dal suolo.