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Le ciliegie nell’inverno dei miracoli

​La fuga in Egitto ha un peso tutto sommato marginale nei Vangeli. Chiude la serie natalizia che la Chiesa celebra in sequenza: prima la Nascita, poi la strage dei santi Innocenti, poi la visita dei Magi, infine la fuga verso terre lontane per sfuggire al progetto omicida del tetrarca Erode.
La fuga in Egitto ha sempre affascinato i fedeli e con loro gli artisti. Era e resta commovente l’idea di una piccola famiglia – Giuseppe, Maria e Gesù piccolissimo, entrambi, nell’iconografia più diffusa, rappresentati a cavallo di un asinello – che affronta un viaggio rischioso, al freddo perché siamo in pieno inverno, in mezzo a pericoli di ogni genere, con poche e forse nessuna risorsa, senza sapere dove andare e quale sarà l’accoglienza in terra straniera. Era questo il viaggio dei poveri nei secoli andati ed è oggi il viaggio dei migranti che arrivano in questa nostra parte del mondo.
I pittori, da Gentile da Fabriano ad Annibale Carracci, hanno spesso raccontato il viaggio della Sacra Famiglia verso le incognite terre d’Egitto. Tuttavia (per un breve momento sospendendo fatica, sofferenza e paura), anche al viaggio dei poveri Dio concede un po’ di sosta, qualche attimo di quiete e serenità. È il tema iconografico del Riposo durante la fuga in Egitto, caro a Elsheimer e a Caravaggio, diffuso soprattutto fra Cinquecento e Seicento. C’è un pittore – Federico Barocci si chiamava – che circa gli anni 1570-73 offre del Riposo l’interpretazione forse più toccante fra quante ne conosco.
Si tratta di un dipinto su tela di dimensioni medio piccole (cm 133 x 110) che si conserva nella Pinacoteca Vaticana. È conosciuto anche come Madonna delle ciliegie e chi lo guarda capisce subito le ragioni di questo titolo. Perché san Giuseppe, incurante della incongruenza stagionale (le ciliegie in gennaio? Ma tutto può accadere nel tempo e nella terra dei miracoli) stacca quei frutti da un albero che ne è gremito e li offre al Bambino Gesù che accoglie il dono con festosa allegria. Il bambino è seduto accanto alla sua mamma intenta a riempire, da una fonte di acqua freschissima, una piccola ciotola.
Dietro, ed è un dettaglio che tocca il cuore, c’è il ciuchino che ha fatto il viaggio portando in groppa la Madonna e il figlio. È un sapiente e paziente somaro marchigiano di colore grigio che gira la testa e guarda la scenetta famigliare con affettuosa complicità e quasi con orgoglio. Quasi a voler dirci che è stato lui a portare fin lì il bambino e la sua mamma ed è anche per merito suo se ora tutti e due possono riposare ed essere, almeno per un poco, felici.
Federico Barocci, l’autore di questo affascinante Déjeuner sur l’herbe cattolico, è l’ultimo fiore del Rinascimento italiano. Visse una vita lunga e laboriosa nella città di Urbino che spesso figura, con le vedute di Palazzo Ducale e dei “torricini”, sullo sfondo dei suoi quadri. Era un artista solitario e profondamente religioso. Era convinto che lo splendore glorioso di Raffaello e la tenerezza del Correggio dovevano essere declinati in modo tale da toccare la mente e il cuore dei credenti. Questo chiedeva la stagione spirituale che i manuali chiamano della Controriforma o della “Riforma cattolica”. Questo il solitario speculativo Barocci nella sua Urbino capitale ormai marginale del Rinascimento, ha voluto consegnarci con il suo Riposo.

di Antonio Paolucci