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Invisibili sulle strade d’Europa

​Sono invisibili ai più, eppure sono tra noi, abitano ai margini delle nostre città, ne vivono i luoghi più reconditi, a volte si installano dove nessuno vorrebbe abitare. E sono tanti, tutti coloro che l’imbarazzante politica europea nei confronti dell’emigrazione vorrebbe nascondere. Arrivano da varie parti, una minima porzione per mare, moltissimi per terra, e a volte aspettano mesi o anni in città-parcheggio prima di potersi imbarcare per una destinazione più ambita. Costituiscono i nuovi slum di cui quasi nessuno parla: grandi come quelli a Patrasso, o ai bordi di Ceuta e Melilla, città spagnole in Marocco; più piccoli e spesso omogenei per provenienza come quelli somali o eritrei a Tripoli; in ex centri militari a Mineo in Sicilia oppure a Torino, Milano, Bari. Nascosti in baracche, abitazioni di fortuna, cartoni e teloni di plastica.

Sono l’evidenza di un anelito a far parte dell’Europa e l’immagine vivente del fatto che l’Europa non sa che farsene di questa nuova popolazione, per lo più giovane, coraggiosa, piena di risorse e disposta a qualunque sacrificio. L’assenza di una politica, basterebbe anche solo un po’ sensata, sull’immigrazione fa sì che per i più il destino previsto è la clandestinità che spesso e presto si traduce in illegalità: nel senso che all’immigrato viene solo data la scelta di nascondersi e di entrare nel circuito nel lavoro nero. Mentre l’industria, enorme, legata all’immigrazione, un settore che va dall’emergenza all’assistenza, dalle navi della flotta italiana in perlustrazione ai Centri di identificazione ed espulsione (“evoluzione” degli ex Centri di permanenza temporanea), gestisce una grande fetta di denaro pubblico che potrebbe diventare un investimento serio e professionale volto a un’autentica integrazione dei nuovi venuti. E invece a questi uomini e donne sono destinati gli spazi dimenticati ai margini delle città, dove stanno costituendo, nella vecchia Europa, il paesaggio fin troppo ben conosciuto delle bidonvilles del Kenya, delle Villas miserias dell’America latina, delle favelas del Brasile.

In questo senso la terzomondizzazione delle città europee è già un fatto: che bisognerà affrontare ben presto come una nuova emergenza, mentre basterebbe una politica concertata tra i Paesi europei per trasformare questa emergenza in linfa vitale di una nuova unione per il futuro. Ma le nazioni d’Europa giocano a nascondino tra di loro e nel frattempo, mentre si addossano l’un l’altra inutili compiti, ai nuovi venuti non rimane che scivolare nelle pieghe fatiscenti delle periferie, tra gli scoli putridi dei luoghi di cui si vuole ignorare l’esistenza.