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Il vento del sacro oltrecortina

C’è una sorta di “linea di resistenza” del sacro nei compositori dell’Europa dell’Est, che hanno sopportato i regimi comunisti senza piegarsi alla rassegnazione e affidando alla musica religiosa il compito di filtrare il senso ultimo dell’esperienza. Si tratta della testimonianza viva di come la dimensione spirituale sia l’ambito a cui l’uomo si rivolge quando si vede privato della propria identità e della libertà di dare voce al proprio anelito verso l’infinito.

Non è dunque un caso che questi autori siano tra i più interessanti e originali del secondo Novecento, ma per ognuno di essi la resistenza del sacro sembra avere ricoperto un significato particolare. Per Krzysztof Penderecki (1933) è nel contempo legata a elementi culturali, estetici e politici. Negli anni in cui in Polonia sono bandite musiche sacre e “moderniste”, modella la Passione secondo Luca (1966) sui grandi oratori bachiani, concependola però secondo le più aggiornate tecniche compositive; ma anche dopo l’abbandono delle avanguardie per la riscoperta delle grandi forme della tradizione, il sacro rimane al centro della sua opera, dal Credo al Requiem polacco. Più complessa la posizione della russa Sofija Gubajdulina (1931). La sua musica, bandita dal regime sovietico, circola clandestinamente per affermarsi soltanto negli anni Ottanta, quando oltrecortina affiora il concerto per violino Offertorium. Come forse solo in Olivier Messiaen, in lei esiste una totale simbiosi, un’identità tra elemento artistico e spirituale; il cristianesimo ortodosso è l’approdo di una religiosità innata, che acquista una vera e propria dimensione mistica.

Per Alfred Schnittke (1934-1998) la fede è invece una conquista; di padre ebreo e madre cattolica, riceve il battesimo solo nel 1980. Se nel Requiem (1975) la ricerca della lux perpetua è avvolta in atmosfere brumose, con la Sinfonia n. 4 (1983), basata sui Misteri del Rosario, il compositore russo esprime in forma compiuta una religiosità che si apre ecumenicamente alle altre confessioni, includendo elementi della musica sacra ortodossa, protestante ed ebraica. Anche per l’estone Arvo Pärt (1935) musica e religione corrono in parallelo, e la sua conversione è infatti duplice. L’abbandono del serialismo per una musica modale reinterpretata si accompagna alla riscoperta delle forme sacre, dove i temi spirituali si riflettono nella stessa tecnica compositiva; non semplici atmosfere, ma maestose architetture per frammenti che, amplificati dal proprio riverbero, costruiscono cattedrali sonore.

di Andrea Milanesi
(ha collaborato Alessandro Beltrami)​