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Il fuoco, la primavera, il silenzio

​Verso la fine dell’inverno si è rotta la stufa caldaia e l’abbiamo sostituita con una che ha il fuoco a vista. Il fuoco ha eclissato lo schermo televisivo. È riaffiorato il silenzio.
La televisione ha ricomposto, in pochi decenni, lo spazio dell’abitare diventandone il fulcro. Nelle nostre case fa compagnia ai molti anziani e tiene a bada i pochi bimbi. Una funzione ancillare, di servizio, che lentamente ma inesorabilmente ha imposto il suo dominio imbrigliandoci in una fissità emotiva che cumula visioni di ogni tipo, subito abbandonate per passare ad altro.
Cresce un senso di insoddisfazione. Ci si apre al mondo per riscoprirsi soli, impotenti, sostanzialmente inutili. L’aumento dell’offerta, superata l’età dell’innocenza e il conseguente stupore, ne ha fatto un focolare sintetico vociante, una tipologia di illuminazione sonora e mutevole che ha ucciso il silenzio. Il silenzio vagheggiato prevede un sottofondo, necessita di una playlist continuamente aggiornata per essere fruibile.
Tra le necessità naturali del vivere – cibarsi, muoversi, riposare, relazionarsi – il tempo del silenzio è diventato un tempo gravoso, da rifuggire. Dove fioriva la reale scoperta dell’esistere si è posizionato un buco nero che va sigillato. Per ciò che può affiorare e per ciò che può ingoiare.
C’è un silenzio cupo e freddo, di morte, lo percepisce il sangue che raggela e paralizza il corpo.
C’è il silenzio ovattato delle abbondanti nevicate, coprente. Lodevole se si possiede un rifugio, gradevole da un cantuccio caldo e asciutto in cui stare accovacciati.
C’è un silenzio che mi appartiene in dimensione quotidiana. A larga trama, tessuto di ascolti. In casa è il crepitio del fuoco, il soffio del vento, il variegato punteggiare della pioggia, in domestica familiarità nei secoli dei secoli. Fuori è un fitto soffuso brusio che varia nell’avvicendarsi delle stagioni. Acque ed aere, minerali e vegetali, è tutto un conversare tra elementi. A ogni orecchio secondo le proprie capacità, il proprio discernimento.
Il silenzio è ascolto del creato. Parte essenziale e presupposto del relazionare l’esperienza umana, relativa e contingente, a ciò che non può trovare in se stessa: la risposta al bisogno di assoluto, di infinito, che la pervade.
Il silenzio diventa un’esperienza rara. Svilito, lo si rifugge come tempo perso, sottratto all’utile, al dilettevole, finanche al caritatevole. Aumenta in compenso la richiesta di parole significative sul silenzio e questo è indice della sostanziale schizofrenia di questi giorni nostri.
Intanto la primavera inoltrata spalanca porte e finestre, ridefinisce gli spazi del vivere quotidiano, elimina la barriera tra interno ed esterno. È una nuova stagione e questo può bastare.
Le indubbie comodità assicurate dal vivere in un ambiente artificiale, metropolitano, evidenziano il loro limite: per avere il controllo assoluto delle cose, assoggettarle all’umana volontà di potenza, bisogna ridurre drasticamente le opzioni. Vivere in ambienti controllati, asettici, insonorizzati per essere sonorizzati a piacere, in cui accatastare e consumare merci che decodificano la cifra del nostro vivere. Cifra è, in senso lato, il numero a cui tutto riduce e di cui si nutre l’Algoritmo. Nello specifico è il nostro prezzo.