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Il Requiem, prima e dopo Mozart

​L’apporto di Mozart alla storia della musica è inferiore in termini di novità (ovviamente non di qualità) rispetto a quello di Haydn e Beethoven. Per quanto l’affermazione appaia eretica, il maestro di Salisburgo ha interpretato al meglio (al massimo?) le forme preesistenti, incidendo in misura minore sulla loro ridefinizione. In ambito sacro esistono però un “prima” e un “dopo” Mozart.

Il suo Requiem avvia di fatto la fortuna moderna della Missa pro defunctis, proiettata però verso una dimensione che travalica l’originario contesto liturgico. Prima del sigillo mozartiano la storia del Requiem appare priva di una precisa connotazione; dopo, anche a causa della drammaticità del momento in cui Mozart scrive il suo (sul letto di morte), il Requiem diviene il luogo preposto al confronto a tu per tu tra l’artista – più in generale, l’Uomo – e il Mistero. Un’impronta di lì a pochi anni già evidente nei due Requiem di Luigi Cherubini (per Beethoven quello in do minore era addirittura superiore al capolavoro mozartiano), pagine modernissime in cui la scelta di un tono sobrio e poco spettacolare sarà d’esempio per molte partiture a venire. Elegiaca accettazione della propria morte, il Requiem di Schumann è tanto umorale e poco sfarzoso quanto quello di Brahms, che con il suo Ein deutsches Requiem opta per una scelta “personalizzata” dei brani biblici (in lingua tedesca) che sposta il baricentro espressivo dell’opera sulla sfera emotiva del lutto di chi resta piuttosto che verso il viaggio eterno di chi (di)parte. È invece un corpo a corpo con Dio il Requiem di Verdi, che trasferisce il confronto con il Mistero sul piano cosmico; si tratta di una composizione a cui sembrano aver messo mano cielo e terra, che paradossalmente rimane però un caso quasi isolato. Nei decenni a venire, le trombe michelangiolesche di Verdi lasciano spazio a una prospettiva maggiormente corale e intimista, come testimoniano i Requiem di Fauré, di Duruflé o di Pizzetti.

A imporsi nel Novecento è il Requiem della storia e della meditazione sulle sue tragedie: come il War Requiem che Britten scrive con un occhio rivolto al passato oscuro della Seconda guerra mondiale e l’altro spalancato verso il futuro plumbeo della nascente Guerra fredda, o come il Requiem Polacco con cui Penderecki ripercorre la storia politica, religiosa e culturale della Polonia del XX secolo, tra occupazione nazista, regime comunista e un insopprimibile anelito verso la Giustizia divina.

di Andrea Milanesi

(ha collaborato Alessandro Beltrami)