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Idee e talento sono le risorse più preziose

di Mario Botta

​La chiesa, ai margini della cittadina di Motril, sulla Costa Tropical, oltre la Sierra Nevada, in Spagna, è opera di Elisa Valero Ramos, una giovane architetto già premiata con lo Swiss Architectural Award nel 2018 (un riconoscimento biennale per architetti di meno di cinquant’anni) con la motivazione: «L’opera della Valero è animata da un tenace impegno personale e da una ricerca originale sugli aspetti costruttivi che le consentono, ricorrendo a risorse limitate, di rispondere alle condizioni poste dai programmi funzionali sublimandole in spazi di grande qualità».
Questa motivazione riassume bene anche i valori architettonici di questa piccola chiesa sorta ai limiti di una delle urbanizzazioni senza qualità realizzate recentemente e contrabbandate come sviluppo legittimo delle città storiche adiacenti; una tendenza che dobbiamo purtroppo registrare in questi anni nella società dei consumi. È proprio in ragione del degrado delle zone periferiche rispetto alla qualità dei tessuti urbani preesistenti che il valore di singole opere di architettura assume un significato in grado di contrastare il disimpegno e l’appiattimento generalizzato delle recenti pianificazioni.
In questo panorama anche una piccola chiesa costruita con risorse limitatissime può risultare significativa per la qualità del paesaggio modellato dall’uomo: un edificio è sempre una parte di città nella quale possiamo riconoscere il nostro grado di consapevolezza civica e di cultura.
L’edificio di Playa Granada si presenta come un semplice volume in calcestruzzo apparentemente innalzato su di una base arretrata al piano terra, con un giardino antistante che costeggia la strada sul fronte sud-ovest. Un parallelepipedo orizzontale incrociato dalla torre verticale del campanile svetta elegante sopra la copertura, al di sotto della quale si apre l’aula assembleare a doppia altezza, orientata dall’entrata a ovest verso est. Il presbiterio, concepito come elemento terminale dell’aula, costituisce la vera invenzione compositiva: si tratta di un volume “autonomo” leggermente rialzato e configurato come una semplice nicchia che spazialmente ricostruisce l’asse geometrico longitudinale. A livello di copertura, un taglio di luce orizzontale da parete a parete separa la nicchia-presbiterio dallo spazio principale dell’aula; una soluzione semplice e astuta che dà forza all’autonomia spaziale del presbiterio e nel contempo offre un limite focale dello spazio. Questa soluzione architettonica dona all’insieme una composizione di volumi primari, geometrici e semplici, senza aperture secondarie (finestre) per l’illuminazione interna. Infatti le altre due fonti di luce nella chiesa – quella longitudinale sul fronte sud lungo il portico e quella a croce, in alto, sulla testata d’ingresso a ovest – si presentano come aperture fortemente schermate; veri brise-soleil con la prevalenza delle parti piene rispetto a quelle vuote. In tal modo l’architetto differenzia e dosa la qualità della luce in base ai settori spaziali interni per disegnare configurazioni con linguaggi autonomi fra di loro.
Questa chiesa è un insieme che richiama il candore e la forza insiti nella sapienza coraggiosa dei giovani, dove l’uso della luce diviene strumento primario ed essenziale per modellare gli spazi architettonici.