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Gli spalti aerei di Belluno

​Di solito arriviamo a Belluno dalla strada alta. Si passa per Santa Giustina e Sedico, poi ci si immerge nella valle, fra l’elegante villino liberty, con torrette e finestroni ogivali, il supermercato pieno di luci e offerte promozionali, l’austera casona ottocentesca, l’invitante bar alla moda con dovizia di luci soffuse e tavolinetti col ripiano di vetro.
E la valle si offre dai due lati della strada, finché a un certo punto si allarga a sinistra in un enorme prato solitario circondato da alte cime, con una sola grande casa sullo sfondo. Mi ha sempre dato l’impressione di un luogo magico, vietato agli umani e aperto agli elfi e alle fate gentili, dove ruscelli allettanti serpeggiano fra l’erba folta e ingannevoli fioriture nascondono paludi insidiose. Ma l’altro giorno ci sono andata dalla “strada bassa”, l’autostrada. C’era un sole cristallino e fermo, l’aria quasi liquida per la trasparenza assoluta. La luce giocava sui vetri della macchina; elfi e folletti, sembrava, erano discesi dalle montagne, e ci guidavano.

Arrivammo alle due del pomeriggio alla spianata di Lambioi, il grande parcheggio da dove un’erta scala mobile si inerpica verso la città. Sopra si ergeva la collina: e come in un dipinto antico, le alte case a semicerchio di Belluno, la capitale del Nord. Molto più nobile appariva dal basso la città, avvolta dal sole, silenziosamente torreggiante. Non dunque l’amabile ingresso dall’alto, fra case che si infittiscono via via fino alla stazione dei treni, da dove poi scendevamo fino alla piazza dei Martiri, un po’ austroungarica un po’ stile Impero, coi suoi due celebri caffè, Manin e Deon, la Porta Dante, l’aiuola con il calendario fatto di fiori e il suo quieto passeggio, ma una visione imperiosa, che ti schiaccia, davanti allo splendore di un’immagine eterna di bellezza.

La città degli alpini e degli eroi, di Pier Fortunato Calvi e dell’epopea risorgimentale, circondata dai Monti del Sole, che vegliano sulla sua verde conca: non le eleganti cime dolomitiche, rosee al tramonto, ma serie, oscure sentinelle di montagna. Noi, la banda di Susin di Sospirolo, ci venivamo da un’altra strada ancora, quella di Camolino e della locanda sul ponte “all’Antica Città di Cornia”. Dal nostro estivo soggiorno susinese nella villetta dei nonni, costruita in un improbabile stile chalet svizzero, scendevamo a Belluno, fra vallette e boschetti, case rustiche (ognuna però impreziosita dal suo bravo timpano veneto) e castellotti rurali, con il caldo larin, il grande focolare quadrato. E come un caldo nido ci accoglieva la città.

di Antonia Arslan