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Figlio di Brescia, cristiana e moderna

​In occasione della prossima beatificazione di Paolo VI, la Chiesa bresciana intende onorarne la memoria e soprattutto richiamare l’attualità della sua testimonianza esemplare, cercando di cogliere il valore e il significato del suo essere stata la terra d’origine di un papa come Paolo VI. Non solo patria d’origine anagrafica, ma soprattutto ambiente vitale da cui il giovane Giovanni Battista Montini ha potuto attingere idee, esperienze e valori che lo hanno accompagnato per tutta la vita. Sono stati elementi ideali che lo stesso Paolo VI riconosceva incarnati in uomini e ambienti caratterizzati da tratti del tutto singolari «a cominciare – diceva – dai nostri familiari, veramente incomparabili per virtù umane e cristiane, per passare poi alla rassegna veramente commovente e edificante degli educatori, dei maestri e degli amici, di tante persone degnissime incontrate a Brescia nel primo periodo della nostra vita; sacerdoti e laici valorosissimi ed esemplari, istituzioni operanti in stile di milizia e di carità cristiana, atmosfera di fede e di azione impregnata di non comune spirito di sincera pietà religiosa e di virili sentimenti civili e sociali». Ecco, questo è stato l’humus da cui è provenuto papa Paolo VI, un vissuto ecclesiale e civile capace di comporre in felice sintesi esperienza familiare e propensione alla dimensione comunitaria, vita di fede e sensibilità sociale, radicamento nel passato e apertura al nuovo. Questa capacità di sintesi, di mediazione, di composizione di elementi tra loro apparentemente opposti, o perlomeno distanti, questa capacità di dialogo, per usare una cifra tipicamente montiniana, Paolo VI ha cominciato ad assimilarla proprio nella sua esperienza giovanile degli anni bresciani. Quel cristianesimo civile aperto ai temi della modernità in quanto radicato in un profondo umanesimo cristiano, Paolo VI, il papa della Chiesa «esperta in umanità», l’ha vissuto fin dall’inizio stando a contatto con un’esperienza ecclesiale capace di fondere in armonia l’appartenenza alla città di Dio e l’appartenenza alla città dell’uomo. Paolo VI stesso indicava proprio in questa duplice fedeltà il tratto caratteristico della sua terra natale, della Brixia fidelis fidei et iustitiae, secondo il motto scolpito sulla facciata del palazzo comunale cittadino; Paolo VI parlava infatti di «duplice impegno morale e storico» e richiamava Brescia a essere «fedele alla fede, alla sua fede cattolica, alla giustizia, alla giustizia privata, pubblica, sociale, all’onestà dei cittadini e dei costumi […] fidei et iustitiae: fedeltà alla fede religiosa e fedeltà alla giustizia civile».

Riconosceva poi di aver appreso da Brescia l’esperienza di un cristianesimo vivo, moderno, capace di affrontare i problemi con lo stile dell’apertura e del confronto e non già della presa di distanza o della condanna. A Brescia quello conosciuto dal giovane Montini era un cattolicesimo non rinchiuso in rimpianti nostalgici e inconcludenti, ma un cattolicesimo dotato di sano realismo nell’affrontare una situazione di crisi e soprattutto di considerare tale situazione come occasione di rinnovamento e di ripensamento di metodi e formule dell’agire credente. Tutto questo si traduceva in iniziative (case editrici, giornali, banche, cooperative e così via) capaci di penetrare nel tessuto della vita sociale e di trasformarla. Per questo il cardinal Montini, parlando all’Azione Cattolica bresciana e riferendosi al suo glorioso passato, poteva dire: «Ci furono uomini di buona volontà, dal cuore grande e coraggioso che dissero: “Noi dobbiamo amare, qualunque sia il momento in cui la Provvidenza ci fa vivere”. E questo mentre clero e laicato si ritraevano scandalizzati dalla vita italiana aspettando che qualcosa di apocalittico avesse a rinnovare la scena che li circondava. Nacque la grande formula: preparazione nell’astensione; astensione sì, perché quello era il mandato, ma preparazione. E prepararsi voleva dire studiare, voleva dire discutere, voleva dire amare il proprio tempo».
«Terra delle mie radici» chiamò un giorno Paolo VI quella bresciana. Anche se a quella terra, una volta divenuto papa, non fece più ritorno, nel suo Testamento non volle farle mancare la sua benedizione; quella benedizione non era un gesto convenzionale, era invece l’estremo gesto di un figlio riconoscente in punto di morte verso la propria madre. Di quella benedizione la Chiesa e la terra bresciana conservano ancora oggi memoria grata e riconoscente.

Luciano Monari

*vescovo di Brescia