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VERBA MANENT 173

Al tempo di Eliseo viveva a Sunem una donna generosa e pia che, riconoscendo nel profeta un uomo di Dio, gli offriva accogliente ospitalità. Questa donna, però, era sterile. Eliseo, chiamatala a sé, le promise che l’anno seguente avrebbe stretto tra le braccia un figlio. E la parola del profeta si realizzò. Il bambino nacque e crebbe colmando di gioia la madre. Ma un giorno, mentre era nei campi con il padre, fu colto da un forte dolore alla testa e dopo poche ore morì tra le braccia della madre affranta. Commovente e pervasa di pathos è la descrizione di questa scena, quasi un delicato bozzetto della Pietà: «Il bambino stette sulle ginocchia di lei fino a mezzogiorno, poi morì» (2Re 4,20). Questo versetto ci comunica con intensità il dramma della Sunammita e ci coinvolge facendoci rimanere in silenziosa empatia accanto a quella madre avvolta nel suo dolore e a tutte le madri di ogni tempo e luogo nella medesima prova.

Ma ecco, nella disperazione, accendersi la speranza: la Sunammita corre nella stanza dell’ospite e depone il corpo esanime del ragazzo sul letto dell’uomo di Dio, credendo fermamente che egli, come aveva potuto ottenergli da Dio l’“impossibile” dono del figlio, così ora avrebbe potuto anche restituirglielo vivo. Rapidamente la donna chiude la stanza – quasi a nascondere la morte –, corre sul monte Carmelo, riversa l’amarezza del suo cuore sul profeta e nello stesso tempo, con viva fede, lo prega di scendere a casa sua, sperando l’impossibile. Eliseo la segue; poi entra da solo nella stanza, si prostra in preghiera, infine si curva sul ragazzo: il corpo riprende vita. Allora fa chiamare la madre.
Con un’altra rapida sequenza di verbi e di gesti, il testo sacro scrive l’icona di quella donna intrepida: «Entrò, cadde ai piedi di lui, si prostrò a terra, prese il figlio e uscì» (2Re 4,37). Entra nella camera con la sicurezza interiore di entrare nel mistero della vita; cade ai piedi del profeta in profonda umiltà, si prostra a terra riconoscendo la potenza di Dio in atto; prende quindi il figlio ed esce: un figlio che è un nuovo dono, un nuovo miracolo operato per l’intercessione di un uomo di Dio. Tutto avviene in silenzio: non servono parole, quando parlano i fatti.

La Sunammita è una donna che, come Maria ai piedi della croce, prende forza dal suo amore, un amore che si fa silenzio; un silenzio che è pura fede. In tutte le situazioni difficili, presso tutte le croci che si innalzano sui tanti calvari della storia, la parola vincente non è il lamento sterile, non è il pianto inconsolabile o l’urlo di rabbia, ma il rimanere sotto lo sguardo di Dio, confidando in lui. Ogni evento che accade è Parola di Dio da ascoltare, da accogliere e da interpretare, alla luce della fede, nel suo giusto significato, con l’aiuto di chi è verace “profeta” nella Chiesa.

di Anna Maria Cànopi​