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Così parla l’Amen

​Nell’Apocalisse il Cristo glorioso, tramite il veggente Giovanni, si rivolge ai vescovi – gli angeli – delle sette Chiese dell’Asia Minore esortandoli a stare saldi nella fede nel tempo di prova che stanno attraversando. Per ognuno c’è un rimprovero che riguarda la debolezza della fede della comunità cristiana, ma c’è pure un messaggio che offre un rimedio per guarire dall’incoerenza e crescere. Particolarmente significativa per la nostra epoca di indifferentismo religioso è la lettera all’angelo della Chiesa di Laodicea: «Così parla l’Amen, il testimone degno di fede e veritiero… Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido… sto per vomitarti dalla mia bocca» (Ap 3,14-16).

Cristo rimprovera severamente questo vescovo che non decide di fronte ai compromessi, ma chiude gli occhi sulla sopravvivenza di abitudini pagane nella vita di quelli che già avevano aderito alla fede cristiana. La fede non può essere vissuta nell’ambiguità. I tiepidi, che continuano a vivere secondo i costumi pagani, praticamente rinnegano Cristo, disonorano la Chiesa e non rendono credibile il messaggio evangelico. Per questo è urgente riorientare lo sguardo alla verità purificando la coscienza: «Ti consiglio di comperare collirio per ungerti gli occhi e ricuperare la vista» (3,18). È offerta la possibilità di convertirsi accettando i rimedi necessari per la guarigione spirituale: l’ascolto della Parola e i sacramenti. Con questa terapia dello Spirito si apre una porta di speranza e si rivela chiaramente il disegno di salvezza come opera dell’Amore paziente di Dio: «Io, tutti quelli che amo li rimprovero e li educo. Sii dunque zelante e convertiti» (3,19).

La conversione avviene in un continuo uscire da se stessi, lasciarsi spogliare dell’uomo vecchio per fare spazio all’uomo nuovo, Cristo, assumendone pensieri e sentimenti e compiendo le sue azioni (cfr. Fil 2,5-20). In questo modo ci si trasforma interiormente e si entra in intima comunione di vita con Colui che è il Dio fedele, l’Amen dell’amore eterno. Egli non si impone, si propone: «Io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (3,20-21). L’immagine della cena è altamente suggestiva: l’intimità del prendere cibo insieme prelude, infatti, al banchetto della vita eterna, dove per tutti gli eletti sarà immensa beatitudine il saziarsi nella visione di Colui che è l’Amore infinito, l’Amen del pieno compimento all’insaziabile desiderio di felicità che tormenta il cuore dell’uomo pellegrino nel tempo.

di Anna Maria Cànopi