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Chiese per la città che verrà

​In una zona di recente urbanizzazione a nord-est di Seul è stata innalzata questa singolare cappella. La Rw Concrete Church, a Byeollae, progettata tra il 2011 e il 2013 dallo studio Nameless risulta inattesa e inquietante per la disinvolta interpretazione tipologica adottata, come se si trattasse di un tassello urbano stretto fra gli edifici dell’intorno e non, come di fatto si presenta, nel bel mezzo di un comparto pianificato della città per il momento totalmente vuoto. Quale sarà stato il rovello progettuale per promuovere una simile soluzione? È certo che gli architetti sono oggi chiamati a farsi carico anche delle possibili degenerazioni future della città, ma un rovesciamento tipologico di questa portata non può essere dato per scontato. La cappella, con un generoso elenco di spazi di servizio (una caffetteria, un ristorante, un porticato d’ingresso, i collegamenti verticali e un’ampia terrazza), occupa ben cinque livelli in altezza – per onestà critica disegnati anche con grande qualità compositiva. Al nostro sguardo questo insieme solleva perplessità soprattutto per gli spazi deserti che lo circondano; un’“assenza” problematica che segnaliamo in attesa di essere smentiti da una futura densità che darebbe una speranza per una nuova immagine alla città.
Vogliamo annotare come l’invenzione tipologica di un’organizzazione in verticale possa talvolta figurare legittima quando, come in questo caso, il linguaggio adottato supera le contraddizioni tecnico-funzionali per presentare coerenza, coraggio e perfino poesia. L’uso di un unico materiale (il cemento) e la semplicità dei volumi – al di là delle esigenze pratiche e liturgiche – mirano chiaramente a definire un nuovo segno iconico per la città, una presenza di grande forza plastica, come se fosse una scultura autoreferenziale le cui attività distributive non vogliono apparire.
Gli interventi architettonici nelle urbanizzazioni recenti diventano problematici soprattutto per la mediocrità e il livellamento cresciuti negli ultimi decenni di fine secolo, con il concorrere di un’edilizia frammentata nella quale il linguaggio della costruzione contemporanea spesso non riesce a configurarsi come parte di un tessuto connettivo del vivere comune, esasperando l’individualità del manufatto e riducendo lo spazio urbano a deposito (molto spesso disordinato) di edifici, residenze e attività.
In questa condizione le strutture architettoniche che ancora mirano a trasmettere una propria immagine, motivata dai valori che rappresentano (luoghi di culto, biblioteche, musei, scuole, luoghi istituzionali), dovrebbero trovare finalmente, anche nella cultura del moderno, una forma espressiva capace di ridare senso e significato autentici.
Nel caso dell’architettura ecclesiale, proprio la sua storia millenaria esige di affrontare il presente (invece che il futuro) con la ricca eredità del passato, con le speranze e il coraggio che hanno contraddistinto secoli di progettazione e lavoro. Forse anche per l’architettura è giunto il momento, dopo anni di nichilismo incrementato dalla società dei consumi, di rivolgersi al costruire riappropriandosi del significato vero di questo termine, che sottende inevitabilmente un’attitudine generosa e positiva.