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Caravaggio pellegrino sulla soglia di Loreto

di Antonio Paolucci​

Caravaggio conosceva Loreto e, da devoto alla Vergine, aveva pregato davanti alla Santa Casa. Lo sappiamo per certo perché i documenti dicono che il Merisi è stato nella città marchigiana fra il dicembre del 1603 e il gennaio del 1604. Lo aveva portato fin lì il concorso per la decorazione ad affresco della Sala del Tesoro, un concorso al quale parteciparono i grandi nomi della pittura italiana di quegli anni, anche Lionello Spada, anche Guido Reni. Forse ci fu, per un attimo, la possibilità che l’impresa fosse affidata a Caravaggio. Le fonti (Baglione, Malvasia) hanno assai romanzato il coinvolgimento del Merisi a Loreto, caricandolo di tinte cupe, di violenti contrasti con i colleghi pittori.
Non c’è nulla di vero in queste ricostruzioni fantasiose. La commissione degli affreschi, ancora esistenti, andò a Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio dal paese di origine, titolare di una “ditta” assai accreditata a Roma. Come spesso succede in questi casi, allora come oggi, il Pomarancio vinse perché godeva delle entrature giuste. Sostenevano la sua offerta Antonio Maria Gallo, cardinale protettore di Loreto, e più ancora monsignor Pier Paolo Crescenzi, potente uomo di Curia.
Come sarebbe oggi la Sala del Tesoro di Loreto se le cose fossero andate diversamente? Se in quella specie di concorso, che pure ci fu, per l’affidamento dei lavori avesse vinto Guido Reni, oppure Lionello Spada, oppure Caravaggio? Chissà quali contrasti di luci e di ombre, quali drammatici accadimenti, se avesse vinto il Merisi, occuperebbero oggi le pareti e la volta della Sala del Tesoro!
Il successo arrise al Pomarancio, che nell’occasione dispiegò una vera e propria sciarada teologico-scritturale: tutto un brulicare di emblemi, di traduzioni allegoriche e simboliche delle litanie lauretane, di contrapposizioni e rispecchiamenti fra le sentenze dei profeti e quelle delle Sibille. Quello che è certo, è che Caravaggio ha sostato a lungo e sicuramente più volte, durante il suo soggiorno lauretano, davanti alla Santa Casa. Lo possiamo capire dalla Madonna dei pellegrini, dipinto che sta a Roma, nella basilica di Sant’Agostino in Campo Marzio e che raffigura due vecchi pellegrini in ginocchio davanti alla Vergine, la quale si presenta sulla soglia della sua dimora all’omaggio dei fedeli con il Bambino in braccio. Ebbene, nel quadro il pittore ha riprodotto con minuziosa obiettività la scheggiatura e le lesioni del rivestimento marmoreo esterno della Santa Casa. Scheggiatura e lesioni che c’erano allora e sono, tuttora, perfettamente visibili.
Ecco quindi la tela che è oggi, e lo sarà fino al 17 giugno, una delle attrazioni principali della grande mostra allestita ai Musei di San Domenico di Forlì con il titolo “L’Eterno e il Tempo”. Il dipinto è uno straordinario omaggio alla Vergine, quasi un ex-voto.
La Madonna si presenta sulla porta della Santa Casa che Caravaggio, come si è detto, ha visto dal vero e da vicino. Di fronte alla Vergine che li accoglie e li saluta in atto benevolo, stanno due vecchi, un uomo e una donna, probabilmente a rappresentare i coniugi Cavalletti, patroni della cappella in Sant’Agostino e devoti alla Madonna di Loreto. In primo piano, si vedono le piante dei loro piedi, piedi scalzi, sporchi e callosi, piedi che molto hanno camminato, nella polvere e nel fango delle strade d’Italia per arrivare fino alla Madonna di Loreto.
Quei piedi sporchi sollecitarono un vasto clamore nell’establishment critico dell’epoca. Se lo Scannelli è disposto a riconoscere «la pura semplicità di cuore» dei due pellegrini, che tuttavia appaiono ai suoi occhi privi del «dovuto decoro», Pietro Bellori, il grande teorico del Classicismo e del Bello ideale, ci va giù pesante deplorando le «sozzure dei piedi», tipico esempio di quella «imitazione delle cose vili» per le quali il Caravaggio (nella Madonna dei Palafrenieri della Borghese, nella Morte della Vergine del Louvre) aveva già incontrato incomprensioni, censure, dissensi e rifiuti.
Quanto al Baglione, storico nemico di Caravaggio coinvolto con lui in risse e vicende giudiziarie, non sorprende il suo sdegno di fronte ai due pellegrini «uno co’ piedi fangosi e l’altra con una cuffia sdrucita e sudicia».
Nessuno di loro aveva capito (forse lo aveva capito il Bellori, che di tutti era il più colto e il più intelligente, ma gli dispiaceva doverlo ammettere) che su quei piedi avrebbe camminato, da allora in poi, la grande arte d’Italia e d’Europa.