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Canta il Gloria anche la tavola

​Cosa si mangia, a Natale? Ogni festa ha la sua pietanza speciale: secondo usi locali, legati alle risorse del territorio e alle tradizioni. Nel mondo cristiano, tuttavia, la Pasqua si ricollega alla Bibbia e alle tradizioni ebraiche: l’agnello – solitamente arrostito come prescrive l’Esodo – è di rigore. Ma a Natale? Come mai una solennità liturgica si dovrebbe festeggiare anche a tavola? Qui entrano in gioco l’analogia con la Pasqua e la tradizione già precristiana di festeggiare i momenti importanti della vita con un banchetto.
Il 25 dicembre è stato indicato, almeno in Occidente, come data di nascita di Gesù fino dai primi tempi del cristianesimo; da allora il Natale è indissolubilmente collegato all’inizio dell’inverno, quindi al clima e ai cibi invernali. Ciò spiega la costante presenza del maiale, in molte forme e preparazioni. Tuttavia, la condanna veterotestamentaria della carne di porco quale cibo impuro perdura sottintesa anche nello stesso cristianesimo, che pure del cibo d’origine suina fa largo uso. Ecco perché troviamo spesso altre pietanze: ad esempio i pesci (soprattutto la grossa anguilla, il “capitone”), evidentemente legati alla cena “di magro” della Vigilia, durante la quale si rispettava l’astinenza dai cibi a base di carne. Ma, in quanto cibo penitenziale, il pesce è poco adatto nel mondo euromediterraneo cristiano a figurare come piatto principale delle feste. Ecco allora la gloriosa comparsa dei grossi volatili, soprattutto il cappone – lessato o arrostito, principe delle mense natalizie toscane – e, dopo la scoperta dell’America, il tacchino: si possono servire anche al forno, con ripieni che variano da regione a regione e servono a “ingrassare” e “addolcire” una carne che può apparire al gusto un po’ stopposa e insipida.
Tuttavia, capponi e tacchini, pur grossi che siano, non sono molto indicati come piatto forte di un’occasione nella quale a mensa ci si riunisce in molti. È per questo che nel mondo europeo si ricorre a volatili quali l’anatra o, soprattutto, l’oca: grande, grassa, tronfia e perfino aggressiva (ricordate quelle del Campidoglio?); un animale che, nelle tradizioni latina, celtica e germanica è anche solare, come il suo stretto, nobilissimo ma ancor più irascibile e meno commestibile parente, il cigno.
Dal Baltico all’Italia centrosettentrionale, dall’Atlantico alla Russia, l’oca natalizia trionfa. Bella grossa, per soddisfare un numero elevato di commensali; frollata bene, perché le sue carni sono compatte, saporite, ma dure; e, soprattutto, farcita con un ricco ripieno. E, infine, cotta in forno: la si può anche consumare allo spiedo, ma richiede continue unzioni di olio o di grasso mentre gira sul fuoco. Come contorni, puré – di patate ovviamente, di latte e spinaci, di carote, soprattutto di castagne –, o le vecchie patate al forno, magari con molti spicchi d’aglio lasciati cuocere nella loro camicia. La grande, gioiosa, gloriosa mostarda dolce e piccante di frutta candita è sempre la benvenuta (soprattutto l’arancio e il cedro). Vino rosso generoso, aromatico, tipo un Amarone, un Marzemino o un tirolese (Blauburgunder, Sankta-Magdalener, Sankt-Laurent). Massì, ci stanno bene anche Lambrusco o Bonarda. E, naturalmente, Champagne.

di Franco Cardini