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Böhm, incunabolo del ’900

MArio Botta​

La chiesa di St. Engelbert, a Colonia-Riehl, è probabilmente la costruzione più conosciuta dell’architetto Dominikus Böhm, capostipite di una fortunata famiglia di costruttori che hanno operato in Germania con grande qualità professionale sull’arco dell’intero secolo scorso, in particolare con “incursioni” nell’ambito dell’architettura religiosa.
Dominikus (al quale faranno seguito il figlio Gottfried e i nipoti Paul e Peter) nasce nel 1880 e, con la propria attività professionale di inizio secolo, ha potuto vivere dall’interno del mestiere le istanze riformatrici caratteristiche della committenza ecclesiastica in quel tempo. Con altri architetti particolarmente sensibili al tema e alle nuove forme espressive dei materiali, deve essere considerato un protagonista delle trasformazioni tipologiche avvenute negli edifici di culto e delle conseguenti variazioni dei linguaggi registrati in quella felice stagione che l’architettura tedesca ha sperimentato all’inizio del Novecento.
Il giovane Dominikus risente ancora ovviamente del clima ottocentesco, con i residui di una cultura eclettica che lo confronta con i modelli del passato; ma già nei primi progetti ecclesiali sono riscontrabili i segni di una sensibilità che gli ha permesso di cogliere le domande innovative del proprio tempo. Ne è testimonianza questa sua realizzazione del 1932, nella quale sono evidenti intuizioni di grande qualità e soluzioni linguistiche che dichiarano una totale modernità.
La chiesa di St. Engelbert può vantare una grande invenzione plastica dettata da una coraggiosa scelta progettuale che combina sapientemente matrici geometriche differenti: la copertura con volte altissime a tutto sesto, e una pianta circolare con mura perimetrali che, all’esterno, si alzano fra i setti, contrafforti di muratura della ripartizione ottagonale. L'ambiente unitario interno si configura generoso e avvolgente; l’innalzarsi delle grandi superfici generate dalle volte crea uno spazio forte con lo sviluppo naturale degli archi. Inoltre l’uso appropriato dei materiali edili semplici di quel tempo indica una nuova attenzione pragmatica che investe anche i luoghi di culto.
La chiarezza compositiva delle figure geometriche generate dalle pareti perimetrali invita l’osservatore a ricomporre con lo sguardo i tracciati strutturali che dal pavimento convergono in alto al centro della copertura. In quest’occasione le volte, che in precedenza assumevano essenzialmente una funzione tecnica e strutturale per rispondere a singole parti dell’edificio (androni, nicchie, cappelle o navate), divengono elementi modulari di un sistema unitario radiale che disegna un grande spazio a geometria centrale. La forza tridimensionale della soluzione è l’elemento cardine di questa architettura e anticipa il linguaggio espressionista (Erich Mendelsohn) che seguirà nella storia dell’architettura.
La novità e la qualità del linguaggio inducono l’osservatore a tollerare l’incoerenza della soluzione “distributiva e funzionale” che, in questa occasione, vede un’organizzazione liturgica longitudinale inserita in una tipologia a pianta centrale.
Questa di Dominikus Böhm è un’opera significativa perché il linguaggio dell’architetto “premoderno” porta con sé memorie proprie della forza espressiva che registriamo nelle opere del grande passato.