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È la gente il vero patrimonio di Parma

Una guida d’autore per scoprire la “vera cultura” della città: uno spirito e una lingua liberi e schietti

​Giorgio Torelli


I parmigiani sono più che mai di Parma, usi anche loro a sentirsi laudare quanto la città, che da sempre ispira confidente simpatia in chi ci arrivi per qualunque incombenza o richiamo, ben aperti occhio e orecchio per cogliere la parmigianità tutt’altro che superstite.
Si domanderà: e cos’è una tal parmigianità di cui si vanta la riconosciuta consistenza? Risposta: è quel modo d’essere vivi senza intabarrarsi in se stessi, anzi esibendo un carattere e convincendosi – e ce n’è modo – di esser nati, cresciuti e in corso d’opera in un gran bel posto, mai abbastanza reputato. In quel luogo, per grandemente piccolo che sia, si slarga un originale ed esclusivo repertorio di temperamenti, qualità, bei difetti, controcanti, requisitorie e fierezze temperate, finché ne sia il caso, dall’arte di appagarsi gustando e pregustando quanto l’identità emiliana, opima collocazione geografica, offra in doppia cornucopia. Io stesso, che adesso ne scrivo, appartengo per nascita ed elezione all’aurea città detta “Parma bell’arma” (è un motto popolare). E pur vivendo altrove e avendo fruito come osservatore itinerante di un più che largo e continuo uso di mondo, mi sveglio parmigiano a Milano.
Della mia città non mi riduco a dire in compiacimento “parva sed apta mihi”. Ne correggo l’attacco e mi allieto di pronunciare “Parma sed apta mihi”. Seguito a collezionare gli infiniti personaggi di cui ho avuto contezza, vivendo nella città natìa fino a migrare, convocato, anzi ammaliato dalla sirena del giornalismo sedentario. Di ritorno in ritorno, mai avrei rinunciato a sperimentare perenne compiacimento per la piccola patria affettivamente tascabile e vezzeggiata dalla considerazione della carta a stampa e da tutto quel che si faccia immagine di uno stile e di una reputazione. Si comprenderà dunque quanto mi sia sentito baciato in fronte appena i miei fratelli di cittadinanza hanno reso pubblico il vanto di sommare al titolo storico di Piccola Capitale il novello lauro di Capitale della cultura durante il ritmarsi di un anno solare. L’apprendere che Parma per l’anno Domini 2020 e poi 2021 è da considerare punto fermo della cultura, rivestendone il prestigio, è stato festeggiato con quel tratto che l’abituale eleganza di chi è nato lungo le rive del quasi fluviale torrente Parma impone e comporta. E qui dobbiamo accordarci sul titolo appena elargito. Si dice sempre che la cultura è quel che rimane quando s’è dimenticato tutto. E adesso Parma è come il gheriglio nella noce della sterminata parola cultura. La quale vox, per subito precisarla, non è certo erudizione, ma dotazione di un popolo, un corredo denso di cognizioni, tradizioni e comportamenti ricevuti in eredità, trasmessi e messi in opera con libertà di espressione.
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