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Vite da artista firmate Aurelio Amendola

Il segreto dello sguardo: il fotografo di Giovanni Pisano e di Michelangelo a tu per tu con i grandi scultori e pittori del Novecento: da Marino a De Chirico a Warhol da Burri a Andy Warhol

​Giovanni Gazzaneo

A Pistoia, la sua città, lo chiamano “maestro”. Aurelio Amendola, toscanaccio dalla battuta pronta e dal sorriso aperto, trova la cosa divertente. Ne son passate di primavere da quando a dieci anni iniziava a far da garzone nello studio di un fotografo. Quel lavoro è diventato la sua vita, la sua passione, il suo orizzonte, il suo vagare su e giù per il mondo e su e giù per la storia, dal “suo” Michelangelo fino ai grandi del Novecento. E a ottantatré anni l’avventura continua. Mi stupisce trovare nei suoi occhi la stessa luce che ho visto negli occhi di altri grandi, da Pepi Merisio a Elio Ciol, una luce che illumina e che si lascia illuminare, che desidera crescere, che non è mai sazia di altezza e di profondità, di bellezza e di speranza. La stessa luce che incroci negli sguardi dei bambini quando giocano, quando scoprono, quando rivedono le persone amate, quando ridono di quel riso che è il suono lieto del mondo. Come i bambini anche Amendola fa cose che gli adulti proprio non capiscono: lui è l’uomo che sussurra alle sculture. «Ho fotografato Michelangelo, Canova, Donatello e, più di recente, Bernini... Tutti i grandi maestri della tradizione italiana. Amo i classici e mentre fotografo le opere “parlo” con gli artisti e cerco di adattarmi al loro linguaggio, perché ognuno ha una parlata diversa. Ho avuto lunghe chiacchierate con il Buonarroti e i Pisano. E loro rispondono, ed è sempre una scoperta: il vigore di una mano tesa, un volto reclinato, le perfette linee del torso, il movimento ondulato di un panneggio di marmo, la luce nel bronzo, la morbidezza delle patine, quelle anatomie più vere della nostra stessa povera carne». 
Lo sguardo nello sguardo l’ha incrociato anche con gli artisti che hanno segnato il Novecento: Marino, De Chirico, Burri, Manzù, Fabbri, Dova, Kounellis, Warhol, Vedova, Melotti, Cascella, Ceroli, Lichtenstein, Masson, Vangi... «Con i moderni è diverso. Certo, alcuni sono grandissimi, ma a differenza dei miei amici classici a volte sono “fastidiosi”, soprattutto quando pensano di saperne della fotografia più di chi fotografa». Amendola deve molto a Marino Marini, che si trovò fra le mani il suo volume sull’opera di Giovanni Pisano, pubblicato da Electa. Gli bastò sfogliarlo per scegliere il fotografo del suo nuovo catalogo. «Lo incontrai nella sua villa a Forte dei Marmi. Era l’8 giugno 1968, mi sembra ieri. Ero intimorito: io giovincello di fronte al grande Marino. Elegante, sempre vestito d’azzurro, di una bellezza nobile. Mi confortava sapere che non solo era di Pistoia come me, ma di San Pietro, la chiesa in cui sono stato battezzato. Non sapeva nulla di me e poi c’era davvero poco da sapere. Ero al mio secondo libro. Entrambi su Giovanni Pisano. Avevo fotografato il pulpito a luce naturale, perché le lampade non me le potevo permettere».
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