Velasco alla ricerca della città perduta
Il pittore lombardo si confronta con il tema dell’urbe: prima quelle abitate per poi lasciarsi attrarre da quelle fantasma. Ne nascono un ciclo e una mostra
Velasco Vitali, Suakin (2012), olio su tela
Velasco Vitali, Pryp'jat' (2010), olio su tela
Velasco Vitali, Kaljazin (2010), olio su tela
Velasco Vitali, Michigan Central Station (2012), olio su tela
Velasco Vitali, Plymouth (2012), olio su tela
Velasco Vitali, San Zhi (2012), olio su tela
Velasco Vitali, Sewell (2012), olio su tela
Il ciclo delle città abbandonate è un percorso circolare dove realtà, fantasia e simbolo si nutrono a vicenda. Una mia ricerca che se ora sconfina ai limiti dell’immaginazione, per molti anni ha fatto riferimento a città reali, come Milano o alcune città del Sud Italia. Soggetti che progressivamente andavo spogliando dei simboli riconoscibili per diventare un impasto di pittura diverso, più denso e scomposto, fatto di un miscuglio di disegno, luce e riferimenti tradizionali in cui il corpo dell’architettura e la carne viva di chi la abita si componevano insieme per dar forma dipinta a quella che chiamiamo oggi metropoli globale. Un lavoro che si è mosso in parallelo ad altri artisti e fotografi, soprattutto italiani, che hanno sentito il bisogno di tornare alla città come per rintracciare quelle matrici e quelle forme che esprimessero al meglio la trasformazione in corso.
Un lavoro di recupero che si è progressivamente spostato verso un’indagine silenziosa e ossessiva sulle centinaia di città fondate, costruite e poi abbandonate dall’uomo nel corso della storia, quasi alla ricerca di una città ideale, una Babele, la prima delle metropoli costruita contro Dio (e contro gli uomini) e poi abbandonata. La mia attenzione si rivolge ora alla fantasia umana che si fa cemento, vetro, forme geometriche dell’assurdo, luoghi che vivono, malgrado tutto, a monito sublime. Più semplicemente luoghi come memoria della nostra utopia. Da qui è nato un nuovo ciclo di opere, lontano da immagini di città che già avevo rappresentato, forse per un bisogno di costruire un mondo emotivo legato a visioni dove la pittura potesse avere la possibilità di raccontare un sentimento, una fantasia, un’invenzione più prossima al sogno
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di Velasco Vitali