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Velasco alla ricerca della città perduta

Il pittore lombardo si confronta con il tema dell’urbe: prima quelle abitate per poi lasciarsi attrarre da quelle fantasma. Ne nascono un ciclo e una mostra

Velasco Vitali, Suakin (2012), olio su tela

Velasco Vitali, Suakin (2012), olio su tela

​Il ciclo delle città abbandonate è un percorso circolare dove realtà, fantasia e simbolo si nutrono a vicenda. Una mia ricerca che se ora sconfina ai limiti dell’immaginazione, per molti anni ha fatto riferimento a città reali, come Milano o alcune città del Sud Italia. Soggetti che progressivamente andavo spogliando dei simboli riconoscibili per diventare un impasto di pittura diverso, più denso e scomposto, fatto di un miscuglio di disegno, luce e riferimenti tradizionali in cui il corpo dell’architettura e la carne viva di chi la abita si componevano insieme per dar forma dipinta a quella che chiamiamo oggi metropoli globale. Un lavoro che si è mosso in parallelo ad altri artisti e fotografi, soprattutto italiani, che hanno sentito il bisogno di tornare alla città come per rintracciare quelle matrici e quelle forme che esprimessero al meglio la trasformazione in corso.
Un lavoro di recupero che si è progressivamente spostato verso un’indagine silenziosa e ossessiva sulle centinaia di città fondate, costruite e poi abbandonate dall’uomo nel corso della storia, quasi alla ricerca di una città ideale, una Babele, la prima delle metropoli costruita contro Dio (e contro gli uomini) e poi abbandonata. La mia attenzione si rivolge ora alla fantasia umana che si fa cemento, vetro, forme geometriche dell’assurdo, luoghi che vivono, malgrado tutto, a monito sublime. Più semplicemente luoghi come memoria della nostra utopia. Da qui è nato un nuovo ciclo di opere, lontano da immagini di città che già avevo rappresentato, forse per un bisogno di costruire un mondo emotivo legato a visioni dove la pittura potesse avere la possibilità di raccontare un sentimento, una fantasia, un’invenzione più prossima al sogno......
 
di Velasco Vitali