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Una ferita, la bellezza che salva

In Benedetto XVI l’amore per la ragione che indaga gli orizzonti ultimi è un tutt’uno con l’amore per le arti

papa Benedetto XVI benedice i fedeli durante il Regina Coeli presso la residenza estiva di Castelgandolfo, il 19 aprile 2009

papa Benedetto XVI benedice i fedeli durante il Regina Coeli presso la residenza estiva di Castelgandolfo, il 19 aprile 2009

Il mondo sarà salvato dalla Bellezza? La domanda di Fëdor Dostoevskij che ricorre nell’Idiota – romanzo iniziato a Ginevra nel 1867 e concluso a Firenze nel gennaio 1869 – è domanda insieme personale e universale. Domanda a cui non possiamo sottrarci, perché salvezza e bellezza non sono mai disgiunte. «Dobbiamo leggere Dostoevskij – scrive Hermann Hesse in un saggio dedicato all’Idiota – quando ci sentiamo a terra, quando abbiamo sofferto sino ai limiti del tollerabile e tutta la vita ci duole come un’unica piaga bruciante e cocente, quando respiriamo la disperazione e siamo morti di mille morti sconsolate. Allora, nel momento in cui, soli e paralizzati in mezzo allo squallore, volgiamo lo sguardo alla vita e non la comprendiamo nella sua splendida, selvaggia crudeltà e non ne vogliamo più sapere, allora, ecco, siamo maturi per la musica di questo terribile e magnifico poeta». Sì, la domanda di salvezza diventa radicale quando sembra non esserci via di uscita, quando tutto è perduto, quando non c’è nulla a cui aggrapparsi e anneghiamo in un mondo viscido e liquido. Proprio nella situazione più estrema la salvezza mostra il suo volto. Il vero e il bene ci vengono offerti nel segno della bellezza, come più volte ha sottolineato Benedetto XVI, in cui l’amore per la ragione che indaga gli orizzonti ultimi è tutt’uno con l’amore per la musica, in particolare per Bach, e le arti. «Se la Chiesa deve trasformare, migliorare, “umanizzare” il mondo – scrive Joseph Ratzinger nel 1974 –, come può far ciò e rinunciare nel contempo alla bellezza, che è tutt’uno con l’amore ed è con esso la vera consolazione, il massimo accostamento possibile al mondo della resurrezione? La Chiesa dev’essere ambiziosa; dev’essere una casa del bello, deve guidare la lotta per la “spiritualizzazione”, senza la quale il mondo diventa il “primo girone dell’inferno”.

Si cerchi pure ciò che è adatto alla liturgia e alla partecipazione dei fedeli, ma si faccia di tutto perché ciò che è adatto sia anche bello e degno della più importante azione ecclesiale in cui viene usato». Per molti artisti contemporanei l’arte oggi non ha più nulla a che fare con la bellezza e con il messaggio – che in arte è altro dal concetto –, ma senza bellezza e messaggio non può esserci arte cristiana (e non solo cristiana). E questo non ha nulla a che fare con criteri estetici: Deus est pulchritudo ipsa, come afferma sant’Agostino. Solo la bellezza può sovvertire i giochi, spezzare le catene degli slogan e delle mode, toccarci nell’intimo e far emergere il lato profondo della nostra umanità. Soprattutto scoprire l’anima, quel filo sottile che lega il nostro cuore al cuore di Dio. Un legame che appare luminoso in chi si scopre creatura: «La vita dei santi, dei martiri, mostra una singolare bellezza che affascina e attira», sottolinea Benedetto XVI all’assemblea del Pontificio Consiglio della Cultura del 13 novembre 2010. «Platone – diceva l’allora cardinal Ratzinger nel discorso indirizzato al Meeting di Rimini del 2002 – considera l’incontro con la bellezza come quella scossa emotiva salutare che fa uscire l’uomo da se stesso, lo “entusiasma” attirandolo verso altro da sé. […]. Noi potremmo dire, in senso platonico, che lo strale della nostalgia colpisce l’uomo, lo ferisce e proprio in tal modo gli mette le ali, lo innalza verso l’alto. La bellezza ferisce, ma proprio così essa richiama l’uomo al suo Destino ultimo […]. La bellezza è conoscenza […], colpisce l’uomo con tutta la grandezza della verità». Quella che per Platone era la nostalgia della perfezione dell’origine, è per noi il moto interiore che strappa l’uomo alla sua routine quotidiana e gli apre orizzonti di libertà.

Falsa e non libera è invece «la bellezza che non risveglia la nostalgia per l’indicibile, la disponibilità all’offerta, all’abbandono di sé, ma ridesta la brama, la volontà di potere, di possesso, di piacere. È quel tipo di esperienza della bellezza di cui la Genesi parla nel racconto del peccato originale». Questo ha a che fare con l’aspetto luciferino della bellezza, in tempi in cui Sodoma e Gomorra sembrano avere un potere più forte che in passato e lo spirito del mondo rinuncia al giudizio, facendo del bene e del male una melassa inestricabile. «La bellezza è una cosa tremenda e orribile – si legge nei Fratelli Karamazov, ultimo romanzo di Dostoevskij –. Non riesco a sopportare che un uomo dal cuore nobile e dall’ingegno elevato cominci con l’ideale della Madonna per finire con quello di Sodoma. Ma la cosa più terribile è che, portando nel suo cuore l’ideale di Sodoma, non rifiuti nemmeno quello della Madonna... Il cuore trova bellezza perfino nella vergogna, nell’ideale di Sodoma che è quello della maggior parte degli uomini». C’è un grande assente nella postmodernità, in questo orizzonte dove corpo e anima sono desacralizzati e le grandi utopie hanno spento le luci sul sipario della storia; dove si è voluto ridurre tutto a una questione di successo misurato nello spazio di un giorno e l’amore non è più “per sempre”, nella falsa illusione che ci si salvi da soli. Ma l’ospite che si vuol mettere da parte ha alimentato il cammino delle genti, ha fatto battere i cuori e ha risvegliato le menti: la speranza.

E la bellezza sa dare speranza, come scriveva Ratzinger nel 1994: «L’arte musicale è chiamata, in modo singolare, ad infondere speranza nell’animo umano, così segnato e talvolta ferito dalla condizione terrena. Vi è una misteriosa e profonda parentela tra musica e speranza, tra canto e vita eterna: non per nulla la tradizione cristiana raffigura gli spiriti beati nell’atto di cantare in coro, rapiti ed estasiati dalla bellezza di Dio. Ma l’autentica arte, come la preghiera, non ci estranea dalla realtà di ogni giorno, bensì ad essa ci rimanda per “irrigarla” e farla germogliare, perché rechi frutti di bene e di pace». Riportare la speranza nel cuore della crisi e vincere la paura con la bellezza sarebbe il modo più autentico per dire grazie a Benedetto XVI, umile quanto grande servo del Signore.

di Giovanni Gazzaneo