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Un uomo, mistero d’amore

La croce non è un simbolo ma una persona. Scandalo di morte, feritoia della resurrezione

​Al collo di moltissimi cristiani pende una catenina con un ciondolo d’oro, di ferro, di legno, di vetro, a forma di croce. Due linee ortogonali, semplicissime e forti, che sono diventate, con il loro “visibile parlare”, come una dichiarazione di fede o forse, per alcuni, solo di appartenenza.
Tenuta da alcuni celata con cura sotto gli abiti, da altri esibita sul petto, la croce ha l’eloquenza di un simbolo evidente a tutti nel nostro mondo: segna i profili di molte vette di montagna, si innesta sulla punta dei campanili di tutti i paesi, ti attende alla svolta dei sentieri di campagna, è parte del nostro paesaggio, al vertice di quella foresta di simboli che la religiosità ha sempre ispirato.
Quella croce che si è incisa almeno una volta negli occhi di tutti, di che cosa è il racconto? Non è portata al collo per mostrare o celebrare uno strumento di tortura e di morte. Chi porterebbe al collo una forca con il suo cappio oppure una sedia elettrica? La croce invece racconta una storia d’amore e di dolore, pronuncia un nome inconfondibile, che profuma di bene e di vita: Gesù.
Nel racconto dei Vangeli della passione, la croce non è mai ridotta a simbolo: è la croce portata da Gesù (Gv 19,17) e alla quale Gesù è inchiodato (Gv 19,18.20), ed è in quanto croce di Gesù che raccoglie l’ultimo gruppetto di quattro donne fedeli e un giovane discepolo (Gv 19,25).
Cristo senza la croce è incomprensibile, ma la croce senza Cristo è un semplice simbolo di morte.
Nella storia dell’immaginario cristiano la scelta di rappresentare la croce senza il volto del Crocifisso ha dato origine ad alcuni filoni iconografici minori, e tuttavia densi di suggestione.
Sono nate così le croci gemmate bizantine, dove il fulgore della gemma vuole significare proprio l’innesto della luce della Resurrezione sulla storia di morte della croce. Sono state erette e scolpite le grandi croci armene di pietra, i khachkar, dove il rigido e il duro della roccia si trasformano in un’effervescenza fantastica di linee avvolgenti, spirali, viticci, fiori: è la pietra che si veste di vita e di angeli, è la croce che a Pasqua fiorisce.
Parafrasando un’espressione di Immanuel Kant, si potrebbe dire che la croce senza la Pasqua è cieca, non ha orientamento e approdo; e che la Pasqua senza la croce è vuota, è un pensiero gentile, un’allegoria della primavera eterna, ma non ha il contenuto, il peso di un corpo lacerato d’amore e di dolore.

di Ermes Ronchi e Marina Marcolini