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Sinfonie cromatiche

A Milano l’arte astratta con cui Kandinsky voleva toccare le corde dell’anima

​«I primi colori che mi colpirono furono un verde chiaro e vivace, il bianco, il nero, il rosso carminio e il giallo ocra. Sono impressioni che risalgono a quando avevo tre anni. Vidi questi colori su oggetti disparati che passavano davanti ai miei occhi, proprio per la vivacità dei colori stessi». Ecco l’incipit di Sguardo sul passato, l’autobiografia che Vasily Kandinsky scrisse fra il 1913 e il 1918 come un percorso a ritroso nel tempo e nella propria pittura, con un acume analitico che ha pochi eguali nelle memorie autobiografiche degli artisti. In quelle pagine lucidamente appassionate uno dei protagonisti ricorrenti è il colore, così come del resto avviene nella pittura di Kandinsky, profondamente radicata nel magma incandescente e caleidoscopico di un’interiorità che prende appunto forma e voce musicale attraverso quello che lo stesso artista ha chiamato il “coro dei colori”. La potenza lirico-emotiva ma anche strutturale e compositiva del mezzo cromatico è ben evidente nei numerosi capolavori provenienti dal Centre Pompidou di Parigi che punteggiano la costellazione di opere presentate a Palazzo Reale, a Milano: da Improvisation III (1909) a Quadro con macchia rossa (1914), da Nel grigio (1919) a Giallo-Rosso-Blu (1925), da Accento in rosa (1926) ad Azzurro cielo (1940).
 
Ogni esperienza della vita e dell’arte di Kandinsky si lega indissolubilmente al colore, è dentro il colore, ne è circondata e avvolta. Il colore è il liquido amniotico che permette la nascita organica della sua ricerca astratta. Non a caso Kandinsky ci rivela la sua scarsissima capacità di memorizzare cifre, nomi o versi, compensata però da una spiccata memoria visiva orientata fortemente sulla percezione cromatica: «Già nella prima giovinezza potevo registrare a casa, per quanto lo permettevano le mie cognizioni tecniche, i colori dei quadri che mi avevano particolarmente colpito a una esposizione». Per lui i colori sono esseri viventi, dotati ciascuno di una propria personalità, di un proprio suono, di una propria attitudine a esercitare effetti fisici e psichici sull’osservatore come messaggeri di emozioni. Sono amici di cui fidarsi. «Ancora oggi – ha scritto Kandinsky in Sguardo sul passato – sento l’emozione che generava in me il colore quando usciva dal tubetto. Basta pigiare con le dita, e questi strani esseri, chiamati colori, escono: maestosamente, con aria pensosa, con concentrazione, in maniera terribilmente seria, con ribollente giocosità, con un sospiro di sollievo, con una risonanza di dolore ma con forza arrogante; tenacemente, con costante autocontrollo, in indecisa incertezza di equilibrio. Sono vivi in sé, autonomi, dotati di tutte le caratteristiche necessarie per continuare la loro vita autonoma, e pronti a ogni istante a sottomettersi a nuove combinazioni, mischiandosi l’un l’altro, e a creare un numero infinito di nuovi universi»......
 
di Gabriele Simongini