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San Miniato, il cielo sopra Firenze

L’abbazia di San Miniato al Monte, tempo e spazio della Gerusalemme celeste

​Bernardo Francesco Gianni


«La facciata della Basilica di San Miniato al Monte, quando nel sereno vien la sera, si alleggerisce, all’apparenza, del peso che la tiene a terra: allora, in fedeltà di secoli, rinnova la supplica al Cielo, con la scrittura della sua bellezza, per riavere nell’eterno un posto, che di quello in cui si trova ora altro non ne sia che la trasfigurazione».
Così, nel secolo scorso, il grande ma appartato scrittore Nicola Lisi aveva perfettamente intuito e sigillato la profetica vocazione della millenaria basilica posta a oriente di Firenze per tracciare una linea aurorale di grazia, di bellezza e di speranza fra la Gerusalemme della storia e quella del futuro. Grembo fecondo di mistero, il dorato catino absidale al tramonto trasfigura l’Occidente in nuovo Oriente schiudendo la storia di una intera comunità ecclesiale e civile all’istante che, nella definitiva parusia del Cristo Alfa e Omega, sarà ormai per sempre assolutezza assoluta. Tale densità teologica di imponderabile pregnanza si stempera in leggibile e consolante bellezza tanto nella stesura geometrica romanica, che placa cuore e pensieri ancora arruffati come i crocicchi e i tetti della città medioevale ormai alle spalle, quanto nella severa espressione bizantina del volto di Cristo, che svela alla nostra distratta rassegnazione dove è che si incontrano il Dio che salva e l’uomo che è salvato.
In tale vertiginosa consapevolezza si immerge il passo peregrinante di chi non esita a riconoscere nel perimetro della basilica, nei suoi volumi, nelle sue penombre, nei suoi silenzi e soprattutto nel suo canto, l’avvento di un antico appello esodico che da sempre qualifica l’amorosa ma austera pedagogia del Dio d’Israele: abbandonare le nostre certezze e i nostri calcoli per avventurarci in un mistero che certo impensierisce, affanna, umilia ma solo per addestrarci alla grazia grande della libertà, della ricerca, della passione, del desiderio.
Così accade a San Miniato varcando la “porta del cielo”, non per improvvide scorciatoie gnostiche, ma anzi per imparare a sprofondare umilmente nelle viscere della terra, in quella cripta cioè dove si impara da tre piccole monofore rivolte a oriente come la luce trinitaria abbia fatto di un sepolcro il talamo festoso di una Pasqua dall’invincibile amore. Il suo frutto è già visibile se solo si affrontano le gradinate marmoree per risalire sino al cuore della Gerusalemme celeste: lassù, dove l’eschaton finale ritrova l’Eden degli inizi, contempleremo il Cristo Pantocratore e, con Lui, l’uomo e la donna finalmente in perenne comunione di amicizia e di grazia nell’eterna eternità di quel mistico sodalizio di verità e bellezza.
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