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San Domenico, testimone senza confini

Domenico è il pellegrino del Vangelo e “un libro vivente”. Come Cristo “non ha dove posare il capo” e non lascia scritti: una vita nel segno della carità e della cultura

​Paolo Garuti

Nella sala capitolare del convento domenicano di Bologna, ove morì nel 1221, si conserva uno dei più antichi ritratti di san Domenico. Come un Cristo pantocratore, ma con la mano destra benedicente rivolta verso il basso, il santo tiene nella sinistra un libro chiuso. L’anonimo artista ha voluto sintetizzare così la vita e l’opera del fondatore, morto da poco. L’iconografia posteriore aggiungerà il giglio e il cane con una fiaccola fra le fauci, per incendiare il mondo, ma la ritrattistica primeva s’accontenta d’un libro. Quando è aperto, come nella Pala di Perugia, capolavoro dell’Angelico, vi si legge l’addio di Paolo in 2Tm 4,1-8: «Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù, che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno…». È stata per secoli l’Epistola propria della sua festa. In altre raffigurazioni, appare leggere e meditare quel libro. Dai testimoni della sua vita sappiamo che portava nella bisaccia il Vangelo di Matteo e le Lettere di Paolo. Forse un volumetto in pergamena, come il breviario di cui si conserva qualche pagina a Bologna. Pesavano, i libri, allora, per il predicatore itinerante. Così, prendeva con sé solo il Vangelo più radicato nella storia del popolo eletto, il più comunitario. Anche il più predicatorio e predicabile, coi suoi cinque discorsi che dalle Beatitudini conducono alla formazione degli apostoli, del­la missione e delle comunità, sino allo splendido scioglimento del giudizio finale in cui Gesù, che sta per consegnarsi alla morte d’uomo, richiama al valore dell’umano, semplicemente umano: «ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,35-36).
Il libro cela un doppio modello: Gesù e Paolo. Riflettendo sui Fioretti e sulle Vitae dei santi medioevali, lo storico della letteratura non fatica a vedere come l’agiografo tenda a fare del suo eroe un alter Christus, ad accentuare quei tratti della biografia che possono trovare analogie nei Vangeli. Ma, forse perché a sua volta formatosi sui racconti agiografici, anche il santo, durante la vita, ha cercato di modellare scelte e gesti sull’umanità di Gesù, narrata dagli evangelisti. L’Imitazione di Cristo è nata ben prima d’essere fissata nel libro cristiano più popolare dopo i Vangeli: le stigmate ne sono un simbolo che Domenico non ricevette, ma visse.
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