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Ronis, fotografo umanista

Dagli innamorati ai bambini, le sue immagini sono musicali, fanno percepire l’emozione che colgono e che le ha generate

di Max Mandel

​«Il mio primo scatto è del 1928, l’ultimo del 2001: è stato un lungo percorso nella fotografia, non credete?». Così, in un’intervista di Christine Kerdellant, si raccontava Willy Ronis (1910-2009) poco prima di concludere quel percorso, a novantanove anni.
Sì, il suo è stato un lungo percorso, non solo nella fotografia: nella vita. La sua prima passione, la musica. La madre insegnante di pianoforte, lo studio del violino, il desiderio di diventare compositore. Poi la malattia del padre e la necessità di aiutarlo nello studio fotografico. Ma la musica non esce di scena, Ronis ne ritrova l’armonia nella composizione delle sue immagini: «Johann Sebastian Bach ha costituito per me una fonte costante di ispirazione: mi ha insegnato il rigore nella composizione, le fughe e il contrappunto, una forma molto controllata e ben inquadrata». Del resto, come non percepire la musicalità – mista a poesia – del titolo della prima mostra da lui realizzata: “Neige dans les Vosges”?
Ronis si è occupato di reportage, ritratti, sport, nudo, moda, pubblicità. E di insegnamento: all’École des beaux-arts di Avignone, a Aix-en-Provence, a Marsiglia. In lui, all’emozione dello scatto si accompagna una lucida visione, un’attenta lettura dell’immagine, dell’inquadratura. «Nella fotografia, devono essere associati tre elementi: la composizione, l’informazione, e l’emozione». «Una fotografia è un condensato di quello che c’è nel cervello e di quello che c’è nel cuore». Potremmo aggiungere: di quello che vedono gli occhi, di quello che vede la mente, e di quello che vede il cuore. Quello che vedono gli occhi, lo vedrà anche chi guarderà la fotografia; meno facile è percepire quello che hanno visto la mente e il cuore. E Ronis non ci ha mai negato la possibilità di comprendere queste emozioni, non si è mai risparmiato, con gioia, nel raccontare le sue foto.