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Rio. Il domani in una festa

Nata dall’incontro di tante etnie, la metropoli carioca tra feste e contraddizioni è il crogiolo dell’umanità di domani. Ora accoglie la Gmg: cammino, gioia e casa

​Benedetti gli alisei di nord-est. Il soffio di questi venti atlantici, costante in ogni stagione dell’anno e sempre rivolto nella stessa direzione, ha regalato agli iberici due imperi. Quando Portogallo e Spagna decisero di spingersi in profondità oltre le Colonne d’Ercole, verso l’ignoto, si scoprirono favoriti da questo dono della Provvidenza, che gonfiava le vele tracciando in via naturale la rotta per il Sudamerica. Ne approfittarono largamente i grandi navigatori, anche italiani, al loro servizio. La conseguenza è che ancora oggi la gran parte dei popoli latinoamericani parla spagnolo e, sia pure uno solo – il Brasile, grande però come quasi tutti gli altri messi assieme –, portoghese. Da cinquecento anni.
 
Era l’alba del primo gennaio 1502, quando Amerigo Vespucci e Alonso de Ojeda videro profilarsi davanti ai loro occhi la meraviglia della baia di Guanabara, disseminata di isole traboccanti di verde. La credevano foce di un fiume (rio), e così la battezzarono in quella data (janeiro, gennaio). Sullo sfondo, colli tondeggianti e luccichio d’altre acque interne. Un eden. Ed è proprio questa visione di paradiso in terra che è penetrata nell’immaginario popolare carioca (così si chiamano gli abitanti della metropoli), secondo cui il Signore creò il mondo in sei giorni e il settimo lo dedicò a far nascere Rio de Janeiro......
 
di Ulderico Bernardi e Michele Falabretti