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Quella fragile bellezza che sconfigge il male

Il racconto della sua infanzia, la persecuzione nazista, il tradimento, la perdita della madre deportata in un lager... Quando la fede apre alla speranza

​I miei ricordi di bambino sono stati traumatizzati dalla guerra e dalla persecuzione. Ricordo di aver vissuto, nascosto e braccato, in luoghi estremamente belli, in cui i colossi montani si stagliavano in tersi cieli color indaco oppure tra plumbee nubi. Si trattava delle magnifiche vette della Val Grande di Lanzo, con i loro picchi e declivi, boschi e radure, fieri rapaci e simpatici animaletti. Ricordo che avevo imparato a raccogliere i funghi, distinguendoli correttamente, inoltrandomi là dove gli alberi erano più folti. Ricordo anche che mi piaceva quella vita rustica ed essenziale.
Purtroppo, per mia madre e me era sì un luogo di ricovero, ma era al contempo un posto estremamente pericoloso, irto di difficoltà. Richiedeva mille attenzioni, mille sotterfugi e nascondimenti. Eravamo ostaggio di infinite paure, che spesso si concretizzavano. I nazisti rastrellavano anche lassù ebrei e partigiani, di intesa con i loro molti complici italiani, non meno spietati. Lì iniziai ad apprendere che viltà e spietatezza sono spesso compagne e complici. Mia madre, dopo alcuni mesi, fu costretta a ritenere che anche quel luogo remoto fosse insidioso per noi e così abbandonammo tanta bellezza, che però per me, da allora, rimase per sempre lordata dalla peggior sozzura umana. Non sono mai più ritornato in quei luoghi, che ho ancora in uggia.
Ho dei ricordi di quel che fu la mia famiglia e il nostro focolare domestico: l’essere amato da chi ti ha generato, la presenza di mia mamma, l’amore tra i miei genitori, la mamma di mia mamma che condivideva da vicino la nostra vita familiare. Ricordo la bellezza di tutto questo, una bellezza intima e discreta, tenera ed essenziale, romantica ma non sdolcinata, sincera e mai sfacciata. Ricordo quando le due SS italiane bussarono seccamente alla porta, dopo che la nostra devota portinaia, tante volte beneficata dalla mia famiglia, aveva venduto mia madre e mia nonna per cinquemila lire ciascuna. Ricordo la strada fatta a piedi, a sera inoltrata, per arrivare alla sede torinese della Gestapo. Ricordo l’ultimo rapido sguardo con mia mamma, che mai più rividi, e ricordo la corsa disperata, sconvolto, per trovare un luogo sicuro per nascondermi. Ricordo che rimasi muto per oltre sei mesi. Era bella mia madre, era la mia mamma.

di Giuseppe Laras