Luoghi dell' Infinito > Quando salire sul Pelmo era una gita nell’aldilà

Quando salire sul Pelmo era una gita nell’aldilà

Il passato e il presente di alpino dello scrittore Ferdinando Camon e le Dolomiti tra incanto, timore e senso del tempo che non c’è più

​Ferdinando Camon

Anzitutto, mi presento: sono un tenente degli Alpini. Nello studio, poggiato sopra i libri, ho il cappello alpino, con una penna nera che un compagno di camerata, piemontese, la cui famiglia aveva un negozio di uniformi militari a Cuneo, mi fece arrivare da casa sua quando fui promosso ufficiale, assicurandomi che era una vera penna d’aquila, e non una penna d’oca. Le penne bianche, degli ufficiali superiori, da maggiore a generale, dovrebbero essere di aquila reale, ma sono penne d’oca. Anche quella del generale di Corpo d’Armata Francesco Figliuolo, commissario all’emergenza anti-Covid? Non ho dubbi. Lui ha una penna d’oca, io ho una penna d’aquila. Però, se c’incontrassimo, col capello in testa, davanti a lui io dovrei scattare sull’attenti, lui neanche mi vede. La mia prima nipotina, quando viene a trovarmi, accarezza con un dito la penna nera del mio cappello alpino e mi chiede: «Nonno, sto toccando un’aquila io adesso?». Sì, bambina mia, stai carezzando l’ala di un’aquila.
Quel cappello è stato sulla mia testa in cima ai monti Antelao, Pelmo, Civetta. Sul Civetta il mio plotone ha piantato una ferrata. Una ferrata difficile. Mi piacerebbe che ci fosse una lapide, a ricordare l’impresa: «Questa ferrata è stata messa dal plotone del tenente Ferdinando Camon». Del mio nome tra i premi Strega non m’interessa niente, anzi un po’ me ne vergogno. A una targa col mio nome sulle Dolomiti ci terrei. C’è questa lapide? No. Perché? Perché il mondo è ingiusto. Tuttavia di quella ferrata non ho un grande ricordo. Il plotone ha fatto tutto da solo. I miei alpini erano più bravi di me. Sull’Antelao sono stato in vetta un giorno che nevicava, ma non era inverno, doveva essere maggio. Faceva un freddo tale che dopo 6-7 ore di marcia non riuscivo più a muovere la bocca, il ghiaccio l’inchiodava. La scalata che ricordo con più orgoglio è quella del Pelmo. Il Pelmo è un montarozzo quadrato, che supera i tremila metri, come tutte le cime più alte delle Dolomiti, e ha una vetta larga come una piazza. Lo si vede da tutti i paesi del Cadore e dello Zoldano. Quando vado nella Val di Zoldo dalle finestre di casa vedo il Pelmo. E non faccio altro che guardarlo. M’incanta. Salire non è stato facile, eppure sono salito con tutto il mio plotone, quarantadue uomini. Rifarei oggi quella salita? Neanche se mi pagano a peso d’oro.
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