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Plensa, il sacro da Oscar

Il dialogo con i contemporanei nella basilica di San Giorgio Maggiore a Venezia. E l’installazione dell’artista catalano vince il Global Fine Art Awards: la prima volta di un’opera in una chiesa

​Tanti i primati di Jaume Plensa: lo scultore catalano ha realizzato volti alti quattordici metri, sperimentato materiali, creato spazi pubblici dove arte e architettura si compenetrano nel segno di una vitalità straordinaria, luoghi che la gente ama e dove la gente si riconosce. Eppure l’Oscar delle arti, assegnato per la prima volta a un’installazione collocata in una chiesa, è forse il primato che gli sta più a cuore. È successo nell’ultima edizione dei Global Fine Art Awards che ogni anno valutano oltre mille mostre e duecento musei. Quando, il 30 novembre 2015, nella Freedom Tower di Miami è risuonato forte e chiaro il giudizio della giuria, «The winner is Jaume Plensa», la gioia è stata grande. Esposta per sette mesi nella basilica palladiana di San Giorgio Maggiore a Venezia, evento collaterale tra i più affascinanti e ammirati della 56a Biennale, l’installazione è una conversazione tra una grande mano benedicente (Together) – sospesa sotto la cupola di fronte all’altare (l’opera resterà in basilica fino alla chiusura del Giubileo) – e una testa (Mist, alta oltre cinque metri), che era posta nel centro della navata maggiore. Il volto, modellato al computer in 3D e poi realizzato in una trama di acciaio inossidabile, è ispirato a una ragazza di origine cinese-spagnola. Questo volto di fanciulla – metafora incarnata dell’incontro di mondi lontani e culture diverse, ma anche omaggio a Venezia, per secoli crocevia tra Oriente e Occidente – è anche l’immagine della speranza di un incontro nel segno della pace tra i popoli. E di una certezza: per Plensa «il futuro è nel segno del femminile. L’uomo può cominciare un movimento, ma non lo porta a termine; può essere protagonista di un evento, ma poi ne perde memoria. Non così la donna: la memoria e il compimento si declinano al femminile». L’opera è eterea: un volto di fili di acciaio e… aria. Così il vuoto diventa forma grazie alla capacità dell’artista catalano di giocare con le trasparenze, di rendere visibile l’invisibile modellando luce e ombre. L’opera, finita in sé, è anche infinita, perché mai uguale a se stessa, disegnata dai raggi del sole nello scorrere della giornata, dei mesi, delle stagioni. «Mist è un territorio di sogno e immaginazione – dice Clare Lilley, curatrice dell’esposizione – in cui le persone si riuniscono per condividere un senso comune di umanità e insieme la spiritualità che questo luogo sacro e millenario trasmette. Le opere di Plensa per l’isola di San Giorgio sono testimonianza della sua acuta comprensione di misura e spazio. Le sue sculture non si impongono su questi spazi storici. Piuttosto catturano e riflettono la luce reale e le ombre al loro interno così da comunicare un linguaggio metaforico».

di Giovanni Gazzaneo