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Padova alla luce della realtà

Sotto i Carraresi la città diventa un grande polo artistico Dopo Giotto i capolavori di Guariento, Altichiero e Giusto

​Padova conserva un ricchissimo patrimonio di pittura del Trecento, che ne fa uno dei centri più significativi dell’Italia padana. L’inizio del secolo è dominato dalla presenza di Giotto, attivo almeno in tre complessi: il convento e la basilica del Santo – dove decorò rispettivamente la sala del capitolo e almeno una cappella –, gli Scrovegni e, poco più tardi, il palazzo della Ragione, con la decorazione della volta. Una presenza che determinò il linguaggio pittorico della città fino almeno alla fine del secolo. Sul linguaggio e le novità che Giotto, già nella prima maturità, espresse nei complessi padovani e soprattutto nella cappella dell’Arena molto è stato scritto. Vorrei qui mettere in rilievo solo alcuni elementi che connoteranno poi la pittura padovana trecentesca. Il primo è il senso dello spazio nei paesaggi e soprattutto nelle architetture: uno spazio misurato, in certo senso prospettico, che si verrà via via articolando e complicando. Poi, un nuovo senso della persona umana, dove la maestosità delle figure plastiche si coniuga con una insistita ricerca naturalistica. Infine, un senso vivissimo della narrazione, che si connota ora in chiave altamente drammatica, ora piuttosto in chiave semplice e per così dire quotidiana. Aggiungerei inoltre un continuo, anche se talvolta sommesso, richiamo all’antico, nella riproposizione di alcuni particolari elementi figurativi.
Di Giotto, prescindendo dalla cappella degli Scrovegni, vorrei solo richiamare l’attenzione sulla presenza nella basilica del Santo – chiesa francescana come quelle nelle quali Giotto aveva lavorato in precedenza ad Assisi e a Rimini –, fonte di suggestioni pittoriche non solo per Padova, ma per tutto il territorio veneto, e sulle novità che, in campo assolutamente laico, portarono, nella scelta dei soggetti e nelle invenzioni iconografiche, le singolari decorazioni astrologiche (distrutte in un incendio nel 1420) della volta del palazzo della Ragione, originali anche per le scelte tecniche e le maturazioni stilistiche. Anche questi dipinti esercitarono un significativo influsso nella stessa Padova, nello zoccolo dell’abside della chiesa degli Eremitani, e soprattutto a Ferrara, nel ciclo decorativo di palazzo Minerbi. Ancora in linea con il linguaggio “giottesco” sono i rovinatissimi affreschi provenienti dal convento degli Eremitani, in parte strappati e ricoverati al Museo civico, eseguiti attorno al 1324 da Pietro e Giovanni da Rimini, che rivelano ancora una delicata sensibilità lineare e un elegante ritmo compositivo.

di Francesca Flores D'Arcais