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Ostia Antica, il porto del grano e delle fedi

A passeggio tra le rovine dell’importante scalo, approdo naturale per le religioni dell’impero

​«All’avvicinarsi del giorno in cui doveva uscire di questa vita, giorno a te noto, ignoto a noi, accadde, per opera tua, io credo, secondo i tuoi misteriosi ordinamenti, che ci trovassimo lei e io soli, appoggiati a una finestra prospiciente il giardino della casa che ci ospitava, là, presso Ostia Tiberina, lontani dai rumori della folla, intenti a ristorarci dalla fatica di un lungo viaggio in vista della traversata del mare. Conversavamo, dunque, soli con grande dolcezza. Dimentichi delle cose passate e protesi verso quelle che stanno innanzi, cercavamo fra noi alla presenza della verità, che sei tu, quale sarebbe stata la vita eterna dei santi» (Confessioni, 10,23).
Il grande parco archeologico di Ostia Antica ricorda, con una lapide seminascosta presso le rovine di una chiesetta, quest’ultimo colloquio fra Agostino e sua madre Monica, prima ch’ella morisse e fosse sepolta là, nei pressi del grande centro portuale di Roma. Aspettavano di prendere il mare e avevano trovato alloggio in un’insula con un giardino, lontana dal centro e dai suoi rumori. Conosco pochi luoghi che possano far capire i primi passi della fede cristiana meglio di Ostia Antica. Gerusalemme, Efeso, Corinto, la stessa Roma, erano già città sante, a loro modo, prima che in esse fosse proclamato il Vangelo. Ostia no. Era una città nata dall’incontro del mare col grande fiume ed esisteva per rispondere alle esigenze della megalopoli, del Caput mundi a cui tutto affluiva.
Una visita a Ostia dovrebbe cominciare dal centro di Roma, da Largo di Torre Argentina. Nella cosiddetta area sacra sorge un tempio rotondo dedicato, pare, alla Fortuna del giorno presente, huiusce diei. Vicino s’ergeva un colonnato, detto Porticus Minucia Frumentaria, perché lì si distribuiva al popolo il grano, il panem che, assieme ai circenses, doveva tenerlo buono. Il Lazio non era, in antico, facilmente coltivabile: la coltre di ceneri vulcaniche che originò la piana creava un terreno ricco di fosfati e potassio, ma non di nitrati. L’azione dell’uomo e il tempo ne modificarono gradualmente l’aspetto, ma le campagne attorno a Roma non potevano produrre frumento a sufficienza per una città che, nel primo periodo imperiale, contava un milione di abitanti. Si calcola che ne servissero tre milioni e mezzo di quintali all’anno. Vicino alla Porticus Minucia, sempre al centro di Roma, si trovava il tempio dei Lares permarini, le divinità incaricate di proteggere la navigazione.

di Paolo Garuti