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Oltre Bisanzio il mistero di Ravenna

Capitale dell’impero d’Occidente, ponte per l’Oriente: un Medioevo ricco di storia, arte e fascino

​Quando voglio comprendere la storia d’Italia – scrisse oltre mezzo secolo fa il grande storico dell’Antichità Arnaldo Momigliano – prendo un treno e vado a Ravenna». «Qui – proseguiva – tra la tomba di Teodorico e quella di Dante, nella rassicurante vicinanza del miglior manoscritto di Aristofane e in quella assai meno rassicurante del miglior ritratto dell’imperatrice Teodora, posso iniziare a capire cosa realmente è stata la storia italiana».
La traccia delle dominazioni straniere che si sono succedute, la memoria del passato imperiale e pagano e al tempo stesso la forza predominante della tradizione cristiana e cattolica: tutti elementi determinanti della storia d’Italia, che Ravenna riassume e reca impressi nelle pietre e nei monumenti con un’evidenza e un’intensità che la rendono del tutto unica e singolare.
Abbandonata nel 402 la poco sicura Milano, la corte imperiale di Onorio (il fratello minore Arcadio era andato a governare la parte orientale dell’Impero a Bisanzio) si rifugia in questo piccolo centro della costa adriatica – di origine etrusca, aveva ospitato Cesare prima del passaggio del Rubicone –, inespugnabile grazie alle acque dolci e salate che lo cingevano isolandolo completamente (tale situazione, fattasi tuttavia, nel corso dei secoli, sempre più pericolosa per l’incolumità stessa degli abitanti, verrà radicalmente risolta nel Settecento dal cardinale Giulio Alberoni con la creazione dei Fiumi Uniti).
Per le necessità residenziali e amministrative della corte si allestì in tutta fretta un apposito quartiere prospiciente il mare, allora poco distante, recuperando probabilmente anche precedenti strutture, separate dal nucleo abitativo antico dalla “via Caesaris”, la strada (attuale via di Roma) che portava a Cesarea e di lì a Classe, il sobborgo portuale sede della flotta (in latino classis, da cui il nome) dell’Adriatico, lo stesso ruolo che Miseno svolgeva per il Tirreno.
Ruolo determinante svolse in questa fase aurorale della città, ormai nuova capitale d’Occidente, la sorella maggiore dell’imperatore, Galla Placidia, a sua volta moglie e madre di imperatori e devota fondatrice di edifici sacri, come le basiliche di San Giovanni Evangelista – monumentale ex voto per lo scampato pericolo di un naufragio in mare – e soprattutto Santa Croce, oggi ridotta quasi a rudere, alla quale si collegava il piccolo sacello cruciforme (attualmente isolato) rivestito all’interno di mosaici celebranti il martirio di san Lorenzo (santo dinastico della famiglia di Teodosio, cui è dedicata anche una grande basilica milanese), detto impropriamente “mausoleo di Galla Placidia” (l’augusta morì a Roma nel 450 e il suo corpo non venne mai trasportato a Ravenna).
Da questi mosaici, che fingono un cielo notturno trapunto di stelle, prese spunto Gabriele D’Annunzio per evocare Ravenna – «glauca notte rutilante d’oro, sepolcro di violenti custodito da terribili sguardi…» – nella parte del trittico Le città del silenzio a lei consacrato.

di Roberto Cassanelli