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Nelle figure c'è la vita

Tutta la Scrittura è un giardino di simboli. Gesù ama il simbolo perché supera la teoria per toccare l’anima

​Il simbolo contiene, nella sua etimologia greca, l’idea di qualcosa che rende possibile l’incontro tra elementi disgiunti e ne rivela il senso. L’incontro tra terra e cielo, tra uomo e Dio nell’incarnazione rende il cristianesimo la religione simbolica per eccellenza. Il simbolo è un operatore di riconoscimento, di relazione, svela in quale mistero d’amore ogni cosa trovi la sua fonte (Gv 3,12).
Il simbolo parte da una entità concreta, limitata, e la tende fino a farla approdare all’Assoluto: «Il Signore passò, ci fu un vento impetuoso e gagliardo [...] Dopo il vento ci fu un terremoto [...] Dopo il terremoto ci fu un fuoco [...] Dopo il fuoco il mormorio di un vento leggero» (1Re 19,11-12). Tiene insieme il vento leggero e il passare di Dio, l’acqua del pozzo di Samaria e la sorgente d’acqua viva nell’intimo. L’incarnazione stessa di Gesù è il simbolo supremo, perché tiene insieme il Verbo (logos) che è dal principio e la Carne (sarx) fragile e calda di un bambino appena nato (Gv 1,1.14).
Il simbolo non delimita, ma apre orizzonti quasi infiniti. Lo stesso avviene con le parabole e con il linguaggio metaforico che abbonda sulle labbra di Gesù. Il Dio incarnato ha scelto di parlarci in modo perlopiù indiretto. Non dirige l’attenzione sul suo oggetto (se stesso, il regno...) ma la sposta altrove (il pastore, il lievito, il seme, l’acqua, la luce...), per illuminare di riflesso l’oggetto di cui vuole parlare. «Comunicare Dio non può avvenire che attraverso lo specchio delle creature, le quali rimandano quasi spontaneamente a Dio. La sua trascendenza lo rende non nominabile, non catturabile, rimane oltre» (Cesare Bissoli).
Il simbolo sfugge alla logica rassicurante della precisione: il suo senso non può essere circoscritto, e non perché sia incomprensibile ma perché condensa una molteplicità di sensi.
Il simbolo risponde piuttosto alla logica rischiosa dell’inesauribilità. Per questo è particolarmente adatto per esprimere le realtà della fede. Chi si abbevera alla fonte della Parola di Dio non può pensare che in essa ci sia soltanto ciò che egli ha trovato; la sua scoperta è solo una tra le tante possibili.
Arricchito dalla Parola, chi se ne nutre non deve pensare che essa ne sia impoverita: non rattristarti per ciò che ti supera. Chi ha sete si rallegra di poter bere, ma certo non si rattrista di non essere in grado di esaurire l’acqua della fonte. Se, infatti, la tua sete si estingue senza che per questo la sorgente si rinsecchi, allora potrai bere di nuovo ogni volta che avrai sete (sant’Efrem, IV secolo).

di Ermes Ronchi e Marina Marcolini