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Nel vortice di Tolentino

L’emozione imprevista nel Cappellone di San Nicola è stata per Davide Rondoni spunto per un poema

​Era già notte, dopo una conferenza. Era una dolcissima sera sospesa in non so quale stagione dell’anno, passavo in una terra che ha un altro tempo, un altro andamento di colline, vocali, canzoni. Mi dissero: “Vuoi vederlo?”. E io non capivo bene cosa, non sapevo, se non confusamente, che da qualche parte, tra le onde di quel mare di colline (dove è dolce e tremendo “naufragare”) c’era qualcosa con quel nome strano, familiare e misterioso. Ma non immaginavo... “Vuoi vederlo?”. Aprirono nella notte le porte, e altre porte lungo un chiostro buio. Fu una cosa vorticosa, nella notte che bruciava di stelle, un vortice dipinto. Quella notte stessa scrissi di questa cosa chiamata “il Cappellone”. I primi appunti, poi ne venne altro. Da dire e ridire. Unii la mia voce ultima e peccatrice, cattolica e anarchica, al coro allo sciame alla nuvola di voci che da secoli, venendo da valli e rogge, da castelli e abituri, venivano dentro lì, alla meraviglia per san Nicola, il Nicola di Tolentino.
Ma come avviene che un uomo muova alla creazione di tanta bellezza? Di santi che sono stati fatti oggetto di mille e mille raffigurazioni ce ne sono tanti. Molti di essi sono stati “preda”, per così dire, anche di tante opere di dubbio gusto artistico, ma di valore devozionale. Il rapporto tra la fede e l’arte va sempre interpretato a più livelli. Non si può pretendere che modeste raffigurazioni realizzate per motivi devozionali abbiano la dignità di opere d’arte, ma allora tali modeste rappresentazioni non devono assurgere su altari, o in posizioni di prestigio. Devono fare il “loro mestiere”, peraltro prezioso, ma senza prendere il posto di opere che invece – per il luogo in cui vengono collocate o per il risalto che viene dato loro – devono avere un adeguato valore artistico. Non sempre è così... E anche san Nicola di Tolentino, povero lui, non è passato indenne, avendo devoti in tutto il mondo. A Tolentino c’è un capolavoro.
Andiamo con ordine, va ricordato innanzitutto di non confondere questo Nicola con quello di Bari, bizantino, greco, tutta un’altra storia e stile. Questo è  uno di colline e boschi, non di mari e sapienze. Ma i due sono legati. La madre di questo Nicola, infatti, Amata dei Gaidani, consorte di Compagnone dei Guarinti, di famiglia benestante dei dintorini di Fermo, invecchiava senza figli, amaramente. Era l’anno 1245. Si rivolse allora al santo orientale che si dice abbia particolare attenzione per le donne che non trovano la maternità. Concepì, nonostante l’età sua e del marito, un bimbo, che chiamò, devotamente, Nicola. Era l’erede dei beni, ma terminati gli studi presso gli agostiniani, Nicola scelse di restare e prese i voti.

di Davide Rondoni