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Nel paese di Verdi

Viaggio nelle terre del compositore, che di sé diceva: «Sono stato, sono e sarò sempre un paesano delle Roncole»

la casa natale del maestro a Roncole Verdi: la facciata

la casa natale del maestro a Roncole Verdi: la facciata

​«Questi veneziani si aspettano chissà che cosa», aveva dichiarato Giuseppe Verdi in occasione della prima di Ernani al Teatro La Fenice (1844). E aveva ragione. Delle cinque opere riservate al debutto in laguna, fra il 1844 e il 1857 (Ernani, Attila, Rigoletto, La traviata e Simon Boccanegra in prima versione), La traviata, oggi considerata uno dei vertici della sua stagione di mezzo, fu quasi un fiasco. Solo il terzo titolo, Rigoletto (1851), ebbe un trionfo popolare grandissimo. Si racconta che i gondolieri – la cosa non stupisce chi conosce l’animo umano: e Verdi lo conosceva molto bene e sapeva quali tasti battere – fischiettassero e canticchiassero per la delizia dei turisti imbarcati per piazza San Marco le note malandrine di La donna è mobile, che è il biglietto da visita dello scapestrato Duca di Mantova, novello Don Giovanni, piuttosto che quelle dolenti del povero buffone di corte.
 
Nel gioco dialettico dei contrasti – in teatro il vizio vince spesso sulla virtù – non meraviglia che l’aria malandrina sia diventata con il tempo il tratto più caratteristico, l’emblema più accattivante della verve verdiana. Fluendo poi, per così dire, dal Canal Grande agli odierni canali discografici e televisivi che ingombrano il nostro inconscio collettivo; e catturando ancor prima, nei primi decenni del Novecento, l’incondizionato apprezzamento di Igor’ Stravinskij: «C’è più valore e inventiva – dichiarò – nell’aria della Donna è mobile che nella retorica e nelle vociferazioni della Tetralogia» di Wagner. Frase talmente fuori dalle righe del bon ton da fare inorridire i fan di tutti i festival di Bayreuth......
 
di Sandro Boccardi