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Nascere, verbo infinito

Una nascita è sempre evento rivoluzionario. Così lo raccontano i poeti contemporanei

​Davide Rondoni


La nascita è scandalo del nostro tempo. Ricorda a ognuno di noi – che siamo protèsi spesso a cancellare il nostro stesso volto nel tentativo di cancellare con le nostre forze l’ansia e il dolore che ci attanagliano e che sono, invece, esito e maledetto frutto proprio di quella censura –, ecco, la nascita, il fatto storico preciso che ci lega a luoghi, a volti di madre e padre o fossero pure ombre, ci rammenta nel suo duro splendore la nostra identità umana. O, diciamola questa parola oggi quasi impronunciabile, la verità della nostra natura, sta lì, nei paraggi della nascita. Accettare tale “essere avuti” come natura del nostro essere umano è la sfida di oggi.
In questo tempo molti desiderano una vita più naturale, ma al tempo stesso si nega che esista una natura specificamente umana. E allora il caos è fantastico e grande, tra chi abbraccia alberi, chi beve tisane, chi cerca di fare robot a propria immagine e somiglianza. Per questo oggi la nascita è “assediata”, la si vuole, per così dire, staccare dalle sue caratteristiche principali. Le quali ci ricordano invece la nostra vera natura: da un lato, la sconfitta di ogni nostra supponenza – non ci si fa da soli – e dall’altro la messa in crisi di ogni presunta autodeterminazione (cosa abbiano deciso di noi, nel grembo di nostra madre?).
La Natura (da nascor, nascere) è sempre stato il tema dei temi della poesia. Pierpaolo Pasolini, nel 1975, diceva: «Ora, oggettivamente, nessun figlio è ormai più accolto nel mondo con l’amore di un tempo, quando egli era appunto per definizione “benedetto”». Poi venne Giovanni Testori nel 1981 a dare voce al nascituro nel potente Factum est. E, sfidando l’intera cultura, venne Mario Luzi con quel Per il battesimo dei nostri frammenti, prodigioso libro di poesia dove l’altissima posta in gioco era spingere più in là, sempre nel suo misterioso dramma di frammento e battesimo, il senso stesso della nascita...
Intanto l’Italia conosceva la curva demografica negativa, segno di un deficit di speranza che anche Oriana Fallaci stigmatizzava: «Molte donne si chiedono: metter al mondo un figlio, perché? Perché abbia fame, perché abbia freddo, perché venga tradito e offeso, perché muoia ammazzato dalla guerra o da una malattia? E negano la speranza che la sua fame sia saziata, che il suo freddo sia scaldato, che la fedeltà e il rispetto gli siano amici, che viva a lungo per tentar di cancellare le malattie e la guerra».