Luoghi dell' Infinito > Monti e deserti

Monti e deserti

Eremiti e monaci si liberano dal mondo e prediligono luoghi estremi e “scomodi”, una condizione che favorisce il desiderio di trovarsi “faccia a faccia con Dio”

​Enzo Bianchi
«Volete sentire da me perché e come vada amato Dio? Ve lo dico: Dio va amato per Dio – questa è la causa. Smodatamente, invece, è il modo». Così si apre il De diligendo Deo di san Bernardo. E la storia e la geografia del bacino del Mediterraneo sono ricche di nomi e di luoghi dove hanno vissuto, sovente in perfetta solitudine, degli “smodati” amanti di Dio, uomini – più raramente anche donne, al seguito della tradizione che colloca gli ultimi anni di vita di Maria Maddalena nella grotta della Sainte-Baume in Francia – che scelgono località estreme per il loro faccia a faccia con Dio, sottraendosi alla vista dei loro simili per scrutare l’Invisibile. Ben presto, poiché «non si accende una lampada per metterla sotto il moggio» (Mt 5,15), questi solitari vengono raggiunti da discepoli e, successivamente, nel breve volgere di qualche anno dalla loro morte, i luoghi estremi diventano mete di pellegrinaggi via via meno estremi. Così, tornando oggi in quei luoghi, non è sempre possibile cogliere la potenza che emanava quando vennero scoperti da discepoli di Cristo in fuga dalla mondanità.  Se andiamo oggi alla grotta di sant’Antonio nel deserto egiziano – una semplice fessura nella roccia – solo qualche centinaio di ripidi scalini ci separa da un cenobio di oltre cento monaci che accoglie ogni giorno migliaia di pellegrini: solamente la vastità del deserto attorno non è mutata nel corso dei secoli, così come la limpida fonte di acqua che quasi miracolosamente sgorga dalla roccia, oggi come milleseicento anni fa.  Qualcosa di analogo – seppure in un ambiente naturale completamente diverso e con la presenza di una comunità oggi meno numerosa – lo abbiamo al Sacro Speco di Subiaco, santuario edificato a custodia della grotta in cui san Benedetto visse i suoi primi anni da eremita, ricevendo periodicamente del cibo da un monaco di nome Romano, come racconta Gregorio Magno nei suoi Dialoghi: «Dal monastero di Romano non era possibile camminare fino allo speco, perché sopra di questo si stagliava un’altissima rupe; Romano quindi dall’alto di questa rupe, calava abilmente il pane con una lunghissima fune, a cui aveva agganciato un campanello: l’uomo di Dio sentiva, usciva fuori e lo prendeva».