Modì e i maledetti. Parigi a Milano
A Palazzo Reale la Collezione Netter fa rivivere gli inizi Novecento a Montmartre e Montparnasse
Amedeo Modigliani, Ritratto di Zborowski (1916), olio su tela
Chaïm Soutine, Autoritratto con tenda (1917 circa), olio su tela
Chaïm Soutine, La pazza (1919 circa), olio su tela
Amedeo Modigliani, Elvira con collettino bianco (1917 o 1918), olio su tela
Amedeo Modigliani, Fanciulla in abito giallo (1917), olio su tela
Amedeo Modigliani, Ritratto di Jeanne Hébuterne (1918), olio su tela
Rue Lepic è una via piccola e stretta che sale alla Butte, la collina dove, secondo la leggenda, furono decapitati san Dionigi e i suoi compagni. Al numero 54 aveva abitato Van Gogh. Quando Amedeo Modigliani arrivò a Parigi, nei primi mesi del 1906, la basilica del Sacro Cuore – simbolo dell’ex voto del 1870, maturato dopo la sconfitta contro i prussiani e l’esperienza anticristiana della Comune, e della sottoscrizione nazionale – stava per essere ultimata. Tanti artisti avevano salito e disceso la piccola strada: Corot, Renoir, Toulouse-Lautrec. Alla fine della curva sorge ancora oggi il Moulin de la Galette, con la sala da ballo che tutti frequentavano; il mulino risaliva al Seicento. Arrivavano lì per mangiare da mère Catherine, per dipingere, dormire, parlare. Dopo qualche anno scelsero Montparnasse e si trasferirono al di là della Senna.
Montmartre e Montparnasse se li contendono, se li scambiano. Antiche colline coperte dal manto lento della storia, Montmartre e Montparnasse si fronteggiano, regni di sovrani distinti. Trentamila artisti occupavano la città, assicurava Anselmo Bucci, trentamila artisti che vagavano tra una riva e l’altra (“l’esercito di Annibale”) cercando di lavorare e di esistere. «Chi non ha veduto la metropoli francese in quell’ora non può farsi un concetto esatto della realtà – annotava Carlo Carrà –. Nessuna descrizione, per quanto accurata, potrebbe rendere le mie impressioni»
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di Beatrice Buscaroli