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MARC CHAGALL

La fiaba, la Bibbia e la Shoah nel percorso dell’artista che ha innalzato un Cristo ebreo sulla croce

Il re David in blu (1967), olio su tela

Il re David in blu (1967), olio su tela

Si chiamava Moishe, in verità. Mark era il suo nome russo. Più comodo, il secondo, per la Parigi degli anni ’10. Ma nel profondo quel nome da patriarca gli era rimasto impresso a fuoco. Il cognome Segal in ebraico, Šagalov in russo. Chagall per tutti.
Quel qualcosa (spesso il cuore) che ogni traduzione perde nei suoi passaggi, lo conservano le tele. «Non sono un pittore russo, sono un pittore ebreo» disse. Chagall lo fu sempre: sia che dipinga rabbini, capre dal viso semita, o crocifissi e  amanti sospesi tra cielo e terra. «Ciò che è determinante non è che Dio è, ma che tutto ciò che è, è insito in Dio». È una delle massime di cui è ricco il chassidismo, la corrente dell’ebraismo a cui apparteneva la famiglia di Chagall: una tradizione impregnata di un senso vivido per il miracolo possibile e quotidiano. È con questi occhi che il giovane Moishe guarda e comincia a ritrarre la città di Vitebsk (oggi in Bielorussia), dove era nato il 7 luglio 1887 e che mai abbandonerà le sue tele. Vedute che già rotolano via sul piano di uno spazio-tempo sghembo, e dove Chagall ragazzo chiede a «Dio, tu che ti celi nelle nuvole, o dietro la casa del calzolaio», di mostrargli la strada. Il segnale dovette giungere chiaro......

 

di Alessandro Beltrami