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L’orologio delle stelle, la curva dell’universo

Nella Commedia Dante rivela grandi competenze astronomiche e intuizioni spaziali analoghe allo spazio-tempo di Einstein

​Marco Bersanelli

Il viaggio di Dante nella Commedia è costantemente accompagnato dalla presenza mirabile della volta celeste. Le stelle indicano il compimento della natura umana e forse per questo segnano l’ultima parola di ciascuna delle tre cantiche. Perdere di vista il cielo significa rinunciare alla speranza. L’Inferno è «l’aere sanza stelle» (Inf III, 23), il luogo dove si è smarrito il rapporto con il destino. Caronte accoglie i dannati avvertendoli del castigo tremendo che li attende: «Non isperate mai veder lo cielo» (Inf III, 85). Le stelle rappresentano l’orizzonte totale nel quale è inscritto ogni gesto umano, piccolo o grande che sia. Così Dante ripetutamente scandisce i tempi e i luoghi del suo viaggio con accurati riferimenti ai movimenti celesti, il che dona al racconto un singolare respiro cosmico. Persino nel buio dei gironi infernali Virgilio indica il trascorrere del tempo con il movimento delle stelle: «già ogne stella cade che saliva» (Inf VII, 98). E l’ingresso nel Purgatorio ha per sfondo una serata tersa dove il brillio di Venere domina il cielo e quattro stelle (probabilmente la Croce del Sud) segnano il volgere del tempo: «Le quattro chiare stelle / che vedevi staman, son di là basse, / e queste son salite ov’eran quelle» (Purg VIII, 91-93).
Quel cielo stellato nella visione medievale era parte di un’immagine cosmica più vasta, basata sul modello tolemaico e sulla fisica di Aristotele. L’universo era concepito come un grandioso sistema di sfere celesti innestate l’una sull’altra in perenne e perfetta rotazione, al centro del quale stava la Terra, sferica e immobile. Per l’uomo medievale la Terra era un mondo in gran parte ignoto e di dimensioni enormi. Sebbene non vi fossero dubbi a riguardo della sua sfericità, ben giustificata anche dalla fisica aristotelica, ai più doveva apparire controintuitivo il pensiero che due esploratori che si inoltrano in direzioni opposte in quell’immensa distesa apparentemente pianeggiante prima o poi si ritroveranno faccia a faccia agli antipodi. Eppure la sorprendente immaginazione di Dante arriva a descrivere l’apparenza minuscola del globo terrestre visto dall’altezza delle stelle: giunto nell’ottavo cielo egli rivede i sette pianeti sotto di sé, e scorge laggiù la Terra così piccola e meschina che sorride «del suo vil sembiante» (Par XXII, 135).
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