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L’invenzione della pittura europea

Giotto dona alla storia sacra fisicità ed emotività sconosciute. Così la teologia si rispecchia nella vita

​Nell’iscrizione sotto il ritratto di Giotto nel Duomo di Firenze dichiara di essere colui che ha ridato vita alla pittura morta dei Greci – parole, queste, formulate non dal maestro nato intorno al 1266 ma da un umanista quattrocentesco, probabilmente Angelo Poliziano, per volontà di Lorenzo de’ Medici detto il Magnifico. Anche se apocrifa, però, ha del vero questa caratterizzazione di Giotto come padre di un’arte che si contraddistingue dallo stile bizantino per la sua vitalità. E la storia dell’arte da Vasari in avanti non ha fatto che confermare il giudizio del Poliziano e del Magnifico.
Chi era questo primo artista europeo? E quali esperienze hanno predisposto la sua scelta di abbandonare le millenarie convenzioni dell’arte sacra in favore di una ricerca del reale? In quali luoghi, topografici e spirituali, si è formato? Giotto era toscano, del contado fiorentino e precisamente mugellano, oriundo di Vespignano, vicino a Vicchio. Ciò significa che il suo senso del bello deve essere nato a contatto con un realismo romanico lontano discendente di quello etrusco, che già nel Duecento si smarca dall’eleganza orientale con forme più solide ed espressioni e gesti meno manierati, più tendenti al vero. Significa anche che deve essere cresciuto nel contesto professionale competitivo che Dante descrive dicendo: «Credette Cimabue nella pittura / tener lo campo; ed ora ha Giotto il grido / sì che la fama di colui è scura» (Purgatorio, XI, 94-96). Anche se non si suol dirlo, Giotto doveva essere ambizioso e desideroso di distinguersi; nella sua Firenze, che era quella dantesca pullulante di rivalità e di liti, era cosa normale. La città allora stava ultimando il suo battistero, che l’Alighieri chiamerà «mio bel San Giovanni» (Inferno XIX, 16-18), cantiere a cui l’artista che la tradizione vuole maestro di Giotto e poi competitore, Cimabue, ha quasi certamente contribuito con disegni per alcuni dei mosaici della cupola. Era una città la cui vita culturale oltre che spirituale era galvanizzata dall’attività dei nuovi ordini religiosi, detti mendicanti, che predicavano e costruivano grandi chiese.
 
di Timothy Verdon