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L’arte dell’icona, maestra delle avanguardie

Una mostra a Vicenza rivela il legame di Kandinskij e Chagall con l’immagine sacra

​Silvia Burini
La Russia ha da sempre qualcosa di enigmatico. Lo afferma il poeta ottocentesco Fëdor Tjutc?ev: «La Russia non si intende con il senno, / Né si misura col comune metro: / La Russia è fatta a modo suo, / In essa si può soltanto credere». I versi ci invitano ad accostarci alla sua storia con la consapevolezza di una specificità, che non vuol dire incomprensibilità. La Russia ha conosciuto un’evoluzione storica diversa dall’Europa occidentale: da un lato il suo “battesimo” cristiano avviene solo nell’anno 988, e due secoli di dominazione mongola hanno lasciato un’impronta forte, non necessariamente negativa, come pretende la leggenda del “giogo tataro”; dall’altro le riforme di Pietro il Grande portano a un tentativo di inserirsi nel sistema politico e culturale europeo, sino alla Rivoluzione d’Ottobre e al periodo sovietico che, pur fondato su un’ideologia di origine occidentale, per sette decenni ha allontanato profondamente il paese da quell’evoluzione storica.
La storia russa insomma viene di solito divisa in due fasi, prima e dopo “la svolta di Pietro”. In realtà la mostra di Vicenza dedicata a “Sacro e bellezza nell’arte russa” ne evidenzia una peculiarità costante: il legame, consapevole o meno, con la tradizione della pittura di icone, il “modo suo” a cui allude Tjutc?ev. Esporre dipinti della fine Ottocento e della prima metà del Novecento accanto a esempi di icone ha lo scopo di indicare non tanto le due fasi a volte contrapposte dell’arte russa, ma un unico e peculiare insieme.
La storia della pittura russa è molto lontana dal percorso occidentale. Nasce come ikonopis’, pittura di icone. A chi le realizzava non era permesso rappresentare personaggi reali: dal punto di vista ortodosso l’icona è legata alla raffigurazione dell’archetipo ed è inconciliabile con qualsiasi esito “naturalistico”. Il passaggio che a un certo punto avviene è quello dalla ikonopis’ alla živopis’, la rappresentazione di ciò che è vivente. L’europeizzazione della Russia si associa insomma a una secolarizzazione che ha conseguenze anche nell’arte religiosa. Ma l’estetica settecentesca si afferma a partire dalle icone: su questa base sorgerà la ritrattistica e, più in generale, la pittura profana. Il ponte tra icona e ritratto è un rilevante genere intermedio, conosciuto come parsun (o parsuna, corruzione del latino persona), quasi icone che rappresentano persone realmente vissute. La pittura profana faceva i suoi primi passi, ma l’arte continuava a muoversi entro i confini di una visione del mondo plasmata dalla Chiesa.